ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Erano quattro anni e mezzo che Jim Furyk non vinceva più, ma alzi la mano chi l’avrebbe detto, prima del bel successo di Hilton Head. Abituati a vederlo sempre in lotta per i primi posti, non c’eravamo accorti che le sue vittorie erano ferme a 16 dal 2010, quando inanellò tre successi, tra cui lo stesso RBC Heritage ad Harbour Town, campo insidioso dove la precisione conta più della potenza e, dunque, lui nuota proprio nella sua acqua. Può capitare quando un campione del genere, vero maestro nel gioco corto, totalizza quasi 6 milioni di guadagni, ad esempio, nel solo 2014 pur senza vincere un torneo. Come fai a memorizzare che non ha vinto più uno che è sempre lì, fra i primi? Stavolta Jim ha tenuto durissimo, alla maniera sua. 63 nel giro finale, con 9 birdies per costringere al play off Kevin Kisner, nativo del South Carolina e quindi idolo di casa a Hilton Head, che, a sua volta, s’era guadagnato lo spareggio stampando in asta la palla da 150 metri e imbucando da 2 metri e mezzo. Contro i due birdies di Jim nelle buche di spareggio, ha dovuto arrendersi e rinviare l’appuntamento con la prima vittoria in carriera. Alla 17, par 3 insidioso accompagnato da acqua laterale fino al green, Furyk ha imbucato freddamente da circa 4 metri: quasi uno scherzo per lui che, nel giro conclusivo, aveva messo a score anche una “siringa” di 16 metri alla 8.

Così, a 44 anni, esultando come un debuttante, Furyk è tornato alla vittoria. I campi di quella zona, paradiso golfistico, gli piacciono molto. In un recente golf-trip a Myrtle Beach, mi era capitato di giocare sul severissimo Pete Dye Course, un puro links  d’impronta scozzese. Lì, nella bella club house, è esposto a futura memoria uno score-monstre registrato nella Pro-Am che, tradizionalmente, vi si tiene il lunedì seguente il Masters: il totale è 57, la firma è di Jim Furyk. Tanto per capire di che pasta sia fatto il vecchio leone e per realizzare, anche, come questi campioni “scherzino” i campi dei nostri affanni quando non sono preparati per le loro competizioni.

Il ritorno di Furyk, dunque, ma anche la conferma di Spieth. Jordan aveva sorpreso tutti, confermando la sua presenza al torneo all’indomani dell’ubriacante settimana del Masters. Da Augusta era volato a New York per il tradizionale giro di interviste e ospitate tv dedicate dalle più importanti trasmissioni americane a chi si mette addosso la giacca verde. A Hilton Head s’era presentato senza aver toccato un bastone da tre giorni e con la testa in Paradiso per l’impresa. Dopo un primo giro comprensibilmente svogliato, era a serio rischio taglio con un +3 (e un solo birdie). Il 63 “sparato” il venerdì ha dimostrato la stoffa del campione, e anche il suo orgoglio. Tornato addirittura in lizza per la vittoria, non si è ripetuto nei giri conclusivi, ma ha finito comunque con un eccellente 11° posto. Da non credere, dopo le prime 18 buche. Si profila una bella stagione, per i Majors con lui a sfidare McIllroy, Tiger in ripresa, Mickelson sempre in agguato e, aggiungerei, un Justin Rose da non sottovalutare.

Naturalmente ci auguriamo che in qualcuno dei prossimi Majors si riaffacci qualcuno dei nostri ma siamo in stand-by. Chicco deve riposare altre due settimane per la microfrattura a un ossicino dell’ulna; Edoardo sta ruminando la rabbia per la bella pensata del suo caddie, che l’ha fatto squalificare in Cina per essere salito su un car fra la 9 e la 10; Matteo deve accontentarsi di aver ripreso a girare sotto par e, col 29esimo posto di Shenzen, aver cominciato a risalire dal baratro di classifica dove era precipitato. Anche Paratore ha ripreso il cammino, dopo qualche comprensibile sbandata, finendo 44esimo ma gli onori, stavolta, sono tutti per Marco Crespi, ottimo quarto. Solido per tutti i giri, e spintosi fino a sfiorare il play off, vinto con due soli colpi in meno dal tailandese Aphibarnrat, Marco ha intascato 75mila euro che, a fine stagione, potranno risultare decisivi per conservare la carta. Il lavoro paga sempre e, quanto a serietà, Crespi non è secondo a nessuno.

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