Ascoltando la radio, una mattina. Su “Radio2 Social Club”, gradevolissima trasmissione condotta da Luca Barbarossa, l’ospite d’onore è Paola Turci, fresca reduce, tra l’altro, del Festival di Sanremo. Quando la conversazione s’incanala sullo sport, dopo un cenno al tennis praticato senza particolare successo in passato, la cantante ha una piccola esitazione prima di confessare: «Mi vergogno un po’, ma ho preso la prima lezione di golf e me ne sono innamorata. Adesso non vedo l’ora di scappare in campo pratica». L’ennesimo caso di folgorazione, a noi tutti ben nota; non si può, però, non soffermarsi su quell’esitazione, quel pudore nel confessare la nuova passione. «Mi vergogno un po’», ha premesso Paola. Quasi che appassionarsi al golf, “sport da ricchi” (questo è l’evidente sottotesto), sia un peccatuccio da nascondere.

Ora: per la mia professione ho frequentato praticamente tutti gli sport, raccontandoli; e ne ho praticati diversi. Non ne conosco uno, dicasi uno, verso il quale sopravviva un pregiudizio, come nei confronti del golf, tale da doverlo quasi tener segreto. Non è colpa di Paola Turci, sia chiaro. Il suo approdo fra i “Carrellanti” è una bellissima notizia, come bello è il trasporto con cui ha descritto, sia pur brevemente, la sua nuova passione. Il punto è un altro: se in Italia si continua a pensare che per giocare a golf si debba essere milionari (in euro), qualche campanellino d’allarme dovrebbe suonare nelle stanze dove si decide come e cosa comunicare del nostro sport. Per il terzo anno consecutivo, dalle nostre pagine continuiamo a promuovere un modello di golf più che sostenibile (economicamente), dando spazio ai tanti bei campi a 9 buche disseminati sul territorio. Ma il problema è che noi parliamo a chi è già appassionato; parliamo da golfisti ai golfisti. È agli altri, al pubblico più vasto, che si dovrebbe invece parlare, testimoniando come, diversamente dal passato, non esistano più solo circoli lussuosi e dunque esclusivi, ma tante altre realtà (anche a 18 buche, peraltro) pienamente alla portata di molti, se non proprio di tutti.

Non è questo il solo motivo per cui il numero dei praticanti non cresce, a dispetto dell’operazione-Ryder, degli straordinari risultati di Francesco Molinari (molto più famoso all’estero che in patria), della presenza costante di una folta pattuglia di nostri giocatori sul Tour maggiore. Ma certo è un fattore non secondario nella mancata “crescita felice” del nostro sport.

Non aiuterà, quest’anno, anche la (speriamo temporanea) ritirata di Sky dal mercato dei diritti tv. La nuova piattaforma Golf TV sta svolgendo un buon lavoro, ricco anche di contenuti supplementari, ma, oltre a implicare un’altra pur contenuta spesa, non potrà avere la stessa facilità di accesso. Stupisce che una dirigenza attenta come quella di Sky abbia trascurato di garantirsi il futuro proprio mentre varava un canale tematico che, per la prima volta, aveva regalato ai golfisti una loro “casa” esclusiva. A quanto risulta è stato un eccesso di attendismo da parte di qualcuno che evidentemente non individuava nel golf una tematica prediletta. Risultato finale: Sky trasmetterà in esclusiva i quattro Major e basta. Per il resto, niente più golf e fine prematura del neonato Canale, a meno che non intervengano ulteriori accordi (fin qui mancati).

Prima un qualsiasi spettatore poteva “inciampare” nel golf facendo zapping su Sky; oggi bisogna andarselo a cercare via internet, sperando poi di avere in casa la tecnologia per proiettarlo sul grande schermo. Non è certo una situazione ideale, con tutto il rispetto, ripeto, per l’eccellente lavoro della nuova piattaforma. Così torniamo al punto di cui sopra: una situazione “G to G”, da golfisti a golfisti. La cattura di eventuali neofiti è esclusa in partenza. Eppure, come testimonia la brava Paola Turci, basterebbe un niente a far scattare la scintilla. Peccato.

Da “Il Mondo del Golf Today” n°299 – marzo 2019

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