Settembre, andiamo, è tempo di tornare. Vi siete presi una pausa dal ritmo incalzante di gare che caratterizza la pratica del golf dalle nostre parti?
Avete lasciato depositare un po’ di polvere agostana sulla sacca o, in alternativa, avete riscoperto il piacere vero di qualche partitella fra amici, birra in palio e senza ossessione di virgola?
Oppure siete fra gli irriducibili che sono andati a svacanzare in località turistiche dove proprio in agosto s’intensifica il ritmo delle gare?
Comunque vada, la ricreazione è finita. Col vantaggio, però, che la ripresa a regime delle attività lavorative, costringerà molti Carrellanti non ancora pensionati a trascorrere felicemente un po’ di tempo in ufficio, dove lo stress è minore: vogliamo mettere un qualsiasi problema di lavoro con la tensione per una pallina scomparsa nel rough alto dell’estate o per un par 3 con 150 metri di acqua da volare?
Non c’è confronto. In ufficio il sistema nervoso è sottoposto a prove meno dure: anche perché, in genere, chi ha alle spalle una certa carriera professionale, è in grado di affrontare con la dovuta lucidità ogni tipo di problema.
Non è sempre vero, invece, il contrario: anni di Carrellanza (altro neologismo coniato da questa sventurata rubrica) non garantiscono una gestione razionale delle sfide che il campo da golf propone.
Che sono sempre quelle, tutto sommato: ma se riuscissimo stabilmente a far tesoro delle esperienze precedenti, probabilmente non saremmo Carrellanti.
Un esempio personale? Non ho mai perso il controllo quando, in quasi mezzo secolo di carriera radiotelevisiva, ho dovuto fronteggiare imprevisti in diretta (una volta, durante una puntata di Pressing Champions League, lo studio tremò per l’ultimo vero terremoto avvertito in Lombardia).
Ma preferirei affrontare una diretta di molte ore (le maratone non le ha inventate Mentana) anziché dover tirare un colpo decisivo da un bunker a sponda alta, con la palla in discesa e più bassa dei piedi.
Si torna, dunque. Ma come si torna? I casi possono essere diversi. Chi si è preso uno stacco, mollando il colpo e riempiendo la vacanza di un sano nulla o di attività alternative al golf, si ripresenterà in campo pronunciando la frase d’ordinanza: «Abbiate pazienza con me. Non tocco un ferro da settimane».
In genere giocherà meglio di tutti, proprio grazie alla pausa purificatrice che, oltretutto, abbassa il livello di aspettative sul rendimento e dunque predispone a una prestazione più rilassata.
Ciò non gli risparmierà raffiche d’insulti degli amici che, per giunta, gli daranno del bugiardo, rifiutandosi di credere agli effetti benefici di una pausa. Situazione poco gradevole.
Chi sarà invece reduce da una tipica vacanza golfistica (Resort, 18 buche quotidiane, bagnetto a mare o in piscina, cena conclusiva ricostruendo a tavola tutti i colpi del giorno, uno per uno) si riaffaccerà in club house con un carico insidioso di aspettative.
Se in vacanza ha giocato bene, si sarà pericolosamente convinto di aver effettuato il definitivo salto di qualità e di poter “scherzare” le buche di tutti i giorni (“Iupiter dementat quos perdere vult”: Giove fa uscir di senno quelli che ha destinato alla perdizione.
Non bisognerebbe mai dimenticare la lezione dei Padri). Se, invece, avrà giocato male (perché – ammettiamolo – raramente in trasferta, specie all’estero, si rimedia uno score decente), tornerà alle buche di sempre fiducioso di ritrovare con esse e in esse il bandolo del suo gioco.
Superfluo aggiungere che in entrambi i casi, la delusione sarà in agguato.
Sono, inevitabilmente, le incognite del ritorno.
Il tempo passa, il fiume scorre e non ci si bagna mai due volte nella stessa acqua. Se vi sembra che questa citazione non c’entri nulla, forse avete anche ragione.
Ma, del resto, sono fra quelli che, avendo giocato bene in vacanza, si sono convinti di aver capito molto, se non tutto. E Giove…