ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Dalla passione in campo al lavoro in Redazione, dalla lotta con bogey e “x” all’impegno di guidare Golf Today per renderlo ancora più bello. Nel ricordo affettuoso di Maria Pia

Gioco, sport, passione, lavoro. Il mio rapporto con il golf si è sviluppato per passaggi successivi, in cui ognuno ha incluso il precedente, integrandolo. E adesso che l’Editore Federico Silva mi ha proposto di raccogliere il testimone da Maria Pia Gennaro alla direzione di Golf Today, la sensazione è che, ancora una volta, la circolarità delle vicende della vita abbia riaffermato la sua legge. Mi sono accostato al golf giocato, come via di fuga dallo stress del lavoro, lasciandomene subito rapire.

Adesso che questo (presunto) diversivo diventa un impegno lavorativo importante, la sensazione è che il cerchio si chiuda. Specie se, come è auspicabile, le soddisfazioni figlie di questo nuovo, affascinante impegno riusciranno a compensare quel costante senso di inadeguatezza che si prova nel misurarsi con il golf giocato. Che, mettendoti sempre di fronte ai tuoi limiti, è un vero esercizio di maturità: sprona alla ricerca di un’improbabile perfezione ma, insieme, offre la misura precisa delle proprie capacità. Almeno a chi ha la consapevolezza di non rifugiarsi nei soliti alibi.

Sono più di 40 anni (44, per la precisione) che ho la fortuna di vivere raccontando lo sport e gli sport, con una particolare attenzione al versante umano, alle vicende psicologiche che ogni sfida agonistica sottintende. È solo da 15 anni, invece, che ho avuto modo di esplorare e descrivere, sperimentandole su me stesso, le sensazioni che provano non tanto i campioni del Tour, modelli inarrivabili, ma quelli come noi che si misurano con i bogey e le “x”, non con i birdie e gli eagle. Quelli che, come molti ricorderanno, ho ribattezzato “neurogolfisti” o “carrellanti”. È stata un’esperienza interessantissima perché, per la prima volta nella carriera, mi son trovato a raccontare le gesta (ma sì, spendiamo questa parola) degli sportivi più veri, quelli che si dannano per pura passione.

Giocando e scrivendo, scrivendo e giocando è stato facile realizzare che il golf, rispetto a tanti altri sport di cui mi ero occupato (praticamente tutti), ha una particolarità non comune: di avere un pubblico composto in misura quasi totale di praticanti. Chi guarda in tv il golf, chi legge le riviste specializzate non lo fa per tifo, come nel calcio ad esempio; lo fa per identificazione, proiettando su quello che vede o distillando da quello che legge ciò che vive sulla sua pelle. Chi ammira un gol di Messi o di Ronaldo, chi segue un Gran Premio di Alonso o di Vettel non pensa di poter imitare quei campioni. Tutti (in Italia) abbiamo dato un calcio a un pallone; tutti guidiamo un’automobile: ma non ci sfiora minimamente l’idea di poter replicare qualcuno degli exploit di quei campioni.

Nel golf, invece, scatta il paragone: e con esso la speranza di poter copiare, se non i drive da 300 metri, almeno gli approcci che si stampano in asta. È su questa identificazione, più o meno ragionevole ma certamente intrigante, che Golf Today ha già puntato e ancor più punterà sotto la mia Direzione nella convinzione che, nell’era dell’informazione in tempo reale, un mensile specializzato debba soprattutto essere un compagno del gioco, più che una fonte di notizie, ormai reperibili quotidianamente, ad esempio, su Golftoday.it. Un amico del golfista, in pratica.

Giocando e scrivendo, scrivendo e giocando era inevitabile che incrociassi presto Maria Pia Gennaro. Meno scontato era che, subito, ne nascesse un’amicizia vera come invece è accaduto, prima, durante e dopo il periodo che ci ha visto lavorare a stretto contatto nella stessa testata. Raccoglierne l’eredità è quindi un impegno e un onore, ma con una venatura di struggente malinconia.

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