So che si parla molto, in Italia, del numero di tornei che sto giocando. Partiamo da un concetto: io cerco di programmarmi nel modo che ritengo migliore per ottenere la massima costanza possibile di risultati. Quello che molti non sanno è che, quando si ottengono certi risultati come è successo a me, gli impegni fuori dal campo si moltiplicano. Poi ci sono, ovviamente, gli impegni familiari, che sono importantissimi; e, infine, bisogna aggiungere i tempi dei viaggi intercontinentali. Come si vede, non è facile districarsi. Poi mettiamoci il nuovo calendario che non piace a me come alla stragrande maggioranza dei giocatori e che ha costretto molti altri miei colleghi a saltare appuntamenti importanti.

 

E il bello (o, meglio, il brutto) è che il calendario 2019-2020 del PGA Tour, diramato a fine luglio, peggiorerà ulteriormente la situazione. Anche per via delle Olimpiadi di Tokyo (dove stavolta ci sarò, e fiero di esserci), ma non solo per quello. In fondo il torneo olimpico bloccherà soltanto la settimana dal 27 luglio al 2 agosto, facendo nuovamente slittare in avanti i play-off della FedEx Cup, che si concluderanno con il Tour Championship il 30 agosto. Ma, ad esempio, gli americani hanno messo in calendario ai primi di luglio il WGC di Memphis, che quest’anno si è disputato la settimana seguente Portrush, mentre l’anno prossimo si svolgerà in contemporanea con uno dei tornei britannici in preparazione all’Open Championship. È un programma sempre più compresso, sempre più congestionato e diventa difficile per noi scegliere su quali gare puntare.

 

La realtà non è che io o altri colleghi (perché non solo io ho avuto molte pause) giochiamo poco. È che ci sono troppi tornei e in tempi più ristretti che in passato. A rimetterci, naturalmente, è il Tour europeo, ormai quasi confinato nella sola fase autunnale. A proposito, in autunno giocherò naturalmente Wentworth, da campione in carica, l’Open d’Italia all’Olgiata, l’HSBC a Shangai e il torneo conclusivo a Dubai. In mezzo, dovrò sceglierne un altro per raggiungere il numero minimo (devono essere quattro le gare europee oltre i Major e i WGC): con ogni probabilità potrebbe essere il Turkish Airlines, ma dipenderà anche dalle prime gare della nuova stagione che deciderò di giocare in quel periodo negli Stati Uniti.

 

Per tornare alla conclusione, troppo anticipata, della stagione dei Major, sapete tutti come sia andata a Portrush. Un eccellente risultato finale grazie al 66 della domenica, ma un bel po’ di delusione. Le mie aspettative erano diverse: avevo lavorato molto bene in preparazione, ma i primi giri mi hanno deluso. Il sabato sera, prima della grande rimonta, mi ero riunito con tutto lo staff. Abbiamo concordato che dovrò curare di più l’aspetto mentale e motivazionale. Dovrò gestire un po’ meglio le aspettative e metterci (non saprei nemmeno bene come spiegarlo) un po’ più di cattiveria, un po’ più di passione e coltivare ancora sogni, anche se l’anno scorso ne ho realizzati davvero tanti.

 

Devo confessare che non sono mai stato tipo da sognare l’impossibile, o troppo innamorato dei sogni da realizzare. Poi è successo quello che è successo fra Wentworth, Carnoustie, l’America, la Ryder e ancora, quest’anno, l’Arnold Palmer vinto e il Masters sfumato; e probabilmente tutto ciò mi ha sottratto, inconsciamente, un pizzico di determinazione. Devo ritrovarla a cominciare dai tre tornei consecutivi dei play-off FedEx ai quali mi sto preparando, mentre butto giù questi appunti che voi leggerete mentre saranno in corso.

Quando si ha la fortuna di vincere molto, come è capitato a me, gli impegni, anche fuori dal campo, si moltiplicano. E il calendario non aiuta…

Da “Il Mondo del Golf Today” n° 304 – agosto-settembre 2019

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