ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Non solo cattive notizie, nella lunga estate del golf azzurro. Benché alcuni non se ne siano accorti, i nostri dilettanti hanno infilato una serie di prestazioni straordinarie. Un plauso va fatto, per esempio, alle nostre ragazze, vice campionesse europee under 18; a Stefano Mazzoli, Campione europeo dilettanti (in foto), e a Federico Zucchetti, che ha trionfato sull’Old Course nel St Andrews Links Trophy. Queste vittorie sono il segnale del momento particolarmente felice del nostro golf dilettantistico, attivo come non mai grazie al talento dei giovani campioni ma anche alla competenza dei nostri tecnici, sia a livello di Nazionale che di Club.

Alla brillante estate degli amateur azzurri, purtroppo, accostiamo qualche ulteriore passaggio a vuoto dei nostri professionisti, eccezion fatta per Francesco Molinari, che ha concluso a testa alta la sua prima stagione sul PGA Tour. Dal BMW PGA Championship 2013, vinto da Matteo Manassero, non assistiamo a un trionfo dei nostri sul Tour maggiore (anche se non dimentico Crespi, vincitore del NH Collection Open 2014, torneo “ibrido” fra European e Challenge Tour). Credo che una situazione del genere sia la naturale conseguenza di una base di giocatori che, in Italia, è davvero troppo ridotta rispetto al resto d’Europa.

Se un confronto con i Paesi del Regno Unito è francamente improponibile (troppo diverso il ruolo del golf nella cultura anglosassone), più sensato sarebbe guardare i nostri vicini francesi. Già qualche anno fa si intuiva come gli investimenti che il golf francese stava attuando a livello di promozione avrebbero garantito ottimi risultati di lì a breve. In questo momento, la Francia conta quasi un milione di tesserati e venti giocatori sull’European Tour. L’Italia, invece, si ferma a 100mila giocatori e sette presenze sul massimo circuito. Avessimo anche noi una corazzata simile, accuseremmo meno i cali di alcuni dei nostri campioni. Pensateci bene: è bastato che Edoardo Molinari e Matteo Manassero (per motivi diversi ma fisiologici, in una carriera lunga come quella di un golfista) fossero in difficoltà, e ci siamo ritrovati senza buona parte delle nostre bocche di fuoco, contro avversari sempre più forti. Su una popolazione di sessanta milioni di abitanti, non credo sarebbe così assurdo puntare a raggiungere, nei prossimi anni, una base di 250/300mila giocatori.

La Ryder Cup potrebbe essere una straordinaria cassa di risonanza per la promozione del nostro sport, ma se non dovessero assegnarcela? Qual è il nostro Piano B? Speriamo che in futuro l’Italia sappia ricoprire un ruolo ancora più centrale in un movimento golfistico che, grazie a una nuova generazione di fenomeni, sta raggiungendo livelli di appeal mai visti prima. Avete visto, per esempio, Jason Day e Jordan Spieth nel giro finale del PGA Championship? Che spettacolo! Loro due, insieme a Rory McIlroy, sono la migliore pubblicità per il golf. Con campioni del genere, senza dimenticare Rickie Fowler, il futuro del golf è senz’altro in ottime mani. Chissà che a fare da chioccia a questi giovani fenomeni non possa esserci ancora per qualche anno Tiger Woods. Con la prestazione al Wyndham Championship di fine agosto (in cui è stato leader per buona parte del torneo), l’ex numero 1 al mondo è tornato a far parlare di sé dopo i pessimi risultati di una stagione terminata con la mancata qualificazione ai Playoffs di FedEx Cup. Tiger non deve dimostrare più nulla: ha vinto 14 Major, è una leggenda. Ma se solo riuscisse a competere ad alti livelli con quei quattro o cinque giovani fenomeni, nei prossimi anni, che spettacolo sarebbe…

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