La bella favola del golf come pratica rilassante resiste in genere poche settimane anche nel più entusiasta dei neofiti. Il tempo di consolidare un po’ di dimestichezza, di acquisire una minima frequenza di colpi decorosi, e subito le aspettative s’impennano, l’asticella si alza e la frustrazione si annida, in agguato, in tutti gli angoli del campo. Perché, si sa, le aspettative risultano molto più spesso tradite che rispettate.

 

Tutto questo, però, ha un pregio di natura quasi esistenziale. Perché, se vogliamo buttarla sul filosofico, non c’è sport che più del golf, così drasticamente in balìa della discontinuità, possa insegnare la precarietà della condizione umana. Nessun altro abbassa le tue penne un attimo dopo che le hai alzate. È scuola di vita che impartisce lezioni anche a chi, causa anagrafe, della vita era convinto d’aver ormai capito tutto. Insegna il “mai dire mai”e il “mai dire sempre”. “Mai dire mai”, perché dopo una vergognosa serie di buche sciagurate, è capace di regalarti squarci di speranza aperti da una resurrezione tanto improvvisa quanto insperata; “mai dire sempre”, perché può riportarti sulla terra (se non sotto) con una serie di misfatti proprio quando ti eri convinto di aver finalmente penetrato il segreto, capito il giochetto, svelato l’arcano.

 

Ne deriva che il vero compagno di viaggio del Carrellante sia quel senso di fragilità che ci assale all’atto di accingerci a ogni singolo colpo. Perché della riuscita di ogni singolo colpo non potremo mai esser certi nonostante che la pallina sia ferma e siano note le altre condizioni date . Con queste premesse risulta evidente che rilassarsi, in campo, è una parola. Mi sembra di sentire la prima obiezione: ma se uno comincia col piede giusto e si accorge, buca dopo buca, di essere in giornata sì, potrà finalmente rilassarsi, no? E no, invece. È proprio quello il momento più insidioso. Perché, data appunto la nostra congenita fragilità, le cose possono volgere al peggio da un momento all’altro.

 

Il golf non è il tennis, dove puoi ritrovarti sotto 0-5, 0-40 e nonostante questo vincere il set e, poi, la partita: i misfatti commessi fino al momento della rimonta non conteranno più, se non come accumulo di fatica. Nel golf non è così, il golf è spietato: se in una medal conosci un momento di black-out che ti porta a incasellare sullo score l’odiata doppia cifra, tutto quello che hai fatto prima e che farai dopo, per bello che sia, ne risulterà zavorrato. Nel golf non c’è condono né prescrizione: i peccati si pagano, cash, senza sconti. Ecco perché proprio i rari momenti belli hanno in sé il germe della tensione: perché basterà sbagliare un colpo, compromettere una buca, infuriarsi e sbagliare anche la successiva e quanto di buono combinato precedentemente servirà solo come rimpianto (o come narrazione da ammannire ai compagni in club house). Il passaggio dallo “Shot of the day” allo “Shit of the day”* può avvenire in un lampo, come insegna la ricorrente sequenza “birdie-merdie”. E in quel momento riannodare i fili del gioco e rimettere in collegamento le sinapsi cerebrali sarà impresa non da poco.

 

Purtroppo non è vero nemmeno il contrario: e cioè che, se si sta giocando male, non si può più compromettere nulla e dunque ci si potrebbe anche acconciare a completare il percorso in relax, senza più nulla a pretendere. Non è nemmeno così, malauguratamente, perché la delusione avrà già scavato il suo solco in misura non più colmabile. E, anzi, quando la luce si riaccenderà, improvvisamente come s’era spenta, il Carrellante inferocirà vieppiù, non riuscendo a spiegarsi come e qualmente gli stessi identici colpi che fino a pochi minuti prima ignoravano ostinatamente la linea retta ora filino obbedienti verso il fairway, molestino le bandiere, addirittura approdando talvolta a pochi centimetri dalla buca. La circostanza sarà consolatoria? La tensione calerà come per incanto? No way. Insultandosi a sangue, il Carrellante non si farà persuaso, per dirla alla Montalbano, del perché di una simile inversione a U e, soprattutto, del percome non potesse essere accaduto tutto prima, quando lo score era ancora un’opzione.

 

Però, rinfrancato almeno in parte dal tardivo risveglio, accantonerà i progetti di ritiro o (peggio) di lancio nel lago dell’intera attrezzatura. E questo non sarà che l’ultimo anello di una catena di errori.

* “Shit of the day”, copyright Valentina Buzzi, giovane e brava collega giornalista, sorella di un Carrellante cui talvolta, incautamente, si accompagna in campo.

Da “Il Mondo del Golf Today” n° 304 – agosto-settembre 2019

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