Tutto cambia, o meglio, qualcuno vorrebbe cambiare tutto, anche le formule di gioco, i tempi, le sequenze.
Si sa, la TV la fa da padrona negli sport, in tutti gli sport.
Il Totocalcio, esperienza mistica di due generazioni, nell’incredulità dei più fu triturato nello spezzatino degli orari e delle giornate imposto dai diritti TV, così aumentati a dismisura.
Alle Olimpiadi una disciplina entra o esce dalla kermesse in ragione della quantità di pubblico televisivo che è in grado di attrarre, indipendentemente dalla tradizione e dalla certezza delle regole.
Il beach volley femminile è forse l’esempio più piacevole, soprattutto per la platea maschile; ma anche l’half pipe o il free ride sono novità divertenti. Dureranno?
Al di là dello spettacolo del momento, qualcuno ricorderà i nomi dei vincitori?
Nello snowboard a PyeongChang ha vinto l’oro un ragazzino di 17 anni, Red Gerard, che tutto sembra tranne che un olimpionico, e dichiara di non pensare a una carriera da atleta: esattamente il contrario di chi rincorre le gare e le Olimpiadi come appuntamento cruciale.
Anche nel golf si intravvede un nuovo corso. Il CEO dell’European Tour, Keith Pelley, è un intelligente manager dalle idee fantasiose come gli occhialetti che porta.
Si è formato nel mondo dei media e della comunicazione e, ovviamente, non ha particolare amore per la tradizione.
Per aumentare lo spettacolo, il Tour sta sperimentando, per esempio, la formula Super Six: 54 buche medal per qualificare 24 giocatori alla fase finale; poi match play su sei buche, cinque turni nella stessa giornata, play-off a oltranza se necessario.
Per i giocatori, una roulette russa: sei lanci di dadi o poco più.
Dal punto di vista del valore sportivo, nessuna indicazione plausibile; dal punto di vista dello spettacolo, effettivamente il confronto diretto, la rapidità di gioco e l’immediatezza del risultato, facilmente comprensibile anche al pubblico presente nonostante le copiose libagioni, hanno un notevole appeal.
A Perth ha prevalso l’indiano Kiradech Aphibarnrat, che era stato ammesso per ultimo alla fase finale, dopo un play-off a otto. In una gara “vera” è escluso dalle statistiche che il 24°, a sette colpi dal primo con 18 buche da giocare, possa vincere.
Con questa formula, accade.
La parte che mi piace sta nella rivalutazione del match-play, che diventa protagonista spettacolare, sia pure abbreviato su sole sei buche ed edulcorato dalla buca ridotta del play-off.
Lo spettacolo non ha regole e segue logiche apparentemente contraddittorie: il match-play non entrerà mai nel programma olimpico – si dice – per l’incertezza della durata, che non garba alla TV; il match-play, invece, viene imposto dalla TV stessa per vivacizzare l’unica formula professionalmente riconosciuta e capace di esprimere un valore agonistico e sportivo, ossia le 72 buche medal.
Forse la contraddizione sta nel ragionare da sportivi e non da comunicatori: ma il golf è sport o spettacolo?
Un Open è una gara, un evento o un contenuto?
Il mondo dello spettacolo spesso sfrutta, e non rispetta, le formule di un tempo; importa di più il consumo veloce, a beneficio del pubblico pagante.
A volte, lascia il segno per sempre; altre volte, l’idea evapora presto, o attecchisce solo su certi terreni molto specifici.