ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

La recente vittoria di Bryson De Chambeau nel Memorial, la seconda della sua carriera, e la sproporzionata eco che ne è seguita, mi ha fatto riflettere sul potere perverso della macchina del marketing e sullo sfruttamento delle immagini a scopi non sportivi.

Credo che quasi tutti conoscano la colorata immagine di questo robusto giovanotto californiano, il sorriso smagliante sotto il cappellino studiato e logato.

Un gran giocatore, senza dubbio, un giovane multimilionario; soprattutto, è nota l’apparente stravaganza di usare ferri tutti della stessa lunghezza e del medesimo lie (molto upright), opportunamente coltivata dalla sua corte.

Le notizie su di lui vengono sapientemente ammannite su scala mondiale, nel non celato intento di indurre frotte di giocatori a convertirsi all’uso di attrezzatura come la sua.

Se riuscisse, sarebbe un affare commerciale colossale, soprattutto per la Casa produttrice e probabilmente per i fisioterapisti, dato che per usare la tecnica di DeChambeau bisogna essere dotati di un fisico non comune.

Per il momento, i pur eccellenti risultati sportivi, che l’hanno issato al 22° posto mondiale, non giustificano la sua fama planetaria.

Certo, DeChambeau ha ancora tutta la carriera davanti, ma diciamo che per ora la sua esposizione mediatica è un po’ sbilanciata.

Per contrasto, mi è venuto in mente Peter Thomson, che è stato per davvero uno dei più grandi golfisti di tutti i tempi e che, purtroppo, ci ha lasciati alla fine di giugno.

Scommetto che quasi nessuno fra i lettori lo conosceva.

Certo, dobbiamo risalire all’era persimmon, ma non parliamo degli albori.

Peter Thomson, classe 1929, vinse cinque Open Championship con una successione impressionante e unica negli anni Cinquanta.

Secondo nel 1952, secondo nel 1953 (la storica edizione di Carnoustie vinta da Ben Hogan, campione nel 1954, ’55 e ’56, secondo nel ’57, di nuovo campione nel 1958.

Un dominio incontrastato, un record destinato a rimanere ineguagliato: in sette edizioni consecutive, il peggior piazzamento fu un secondo posto!

Nessuno dei grandissimi, non Hogan, non Palmer, non Player né Nickalus, Ballesteros o Woods può vantare una tale superiorità nella gara più storica, più classica e più difficile di tutto il calendario mondiale.

E nessuno ha vinto tre volte di fila l’Open Championship nell’era moderna.

Solo Tom Watson si fregia di cinque vittorie in totale, come Thomson (il massimo storico appartiene a Harry Vardon con sei titoli, ma si parla di un’epoca troppo lontana).

A Thomson non mancavano gli avversari di rilievo: nel 1965, anno della sua quinta vittoria, anche Palmer e Nicklaus erano nel field dei battuti. Le sue vittorie spaziavano, non c’era solo l’Open: nella sua carriera figurano innumerevoli titoli in tutti i continenti e anche il PGA Seniors, a riprova di una longevità non comune.

Eppure le notizie su di lui non sono facili da reperire e non è mai stato molto noto al grande pubblico.

Se avesse avuto qualcuno che si fosse occupato della sua immagine e della comunicazione, come fu ad esempio IMG per il suo coetaneo Arnold Palmer, sarebbe stato un idolo mondiale, un’icona almeno quanto Arnie.

Thomson, invece, diceva troppo spesso ciò che pensava (definiva la Gran Bretagna, che pur gli diede tante soddisfazioni sportive, un’isola da circondare con paletti bianchi e dichiarare “Out of Bounds”), rimanendo un gentleman d’altri tempi, un grande professionista.

Nella seconda parte della sua lunga vita si è dedicato con successo alla costruzione di campi da golf, soprattutto nella nativa Australia, dove – almeno là – era considerato una leggenda.

Negli anni Ottanta, quando era presidente della PGA of Australia (carica tenuta per oltre trent’anni) ebbi un incontro con lui durante il Victorian Open, presentato da Von Nida e Tom Linskey.

Mi lasciò l’impressione di una persona forte e genuina, generosa d’animo.

Che non fosse particolarmente interessato al denaro si sapeva: l’assegno della sua vittoria nell’Open 1956 fu fortunosamente ritrovato mesi dopo nella giacca presa a prestito per la premiazione.

Thomson incarnava la massima passione per il golf agonistico puro, senza secondi fini, la serenità dei rapporti umani e sportivi.

Oggi sarebbe preziosissimo materiale per marketing e comunicazione, e invece detiene un primato singolare: resta “The most underrated player of the persimmon era”.

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