La via per scoprire un diamante non è mai facile, lineare, scontata. Che partisse dalla Puglia per passare dal Sudafrica e poi di ritorno in Europa, per emergere definitivamente in Cina, pochi lo potevano immaginare. Forse, solo chi conosce da tempo Francesco Laporta, detto “Lapo” dagli amici. Sua la strepitosa vittoria nell’Hainan Open, che, proiettandolo al vertice del Challenge Tour, gli ha garantito una Carta piena per l’European Tour 2020. Solo la settimana prima, era stato il miglior italiano all’Open d’Italia dell’Olgiata, prima volta nei Top Ten in una Rolex Series. In due settimane, è risalito di 163 posizioni nel World Ranking, attestandosi poi intorno al 150° posto alla vigilia della finale di Mallorca.
Non ha paura di volare, Lapo. La sua storia non è convenzionale. Si avvicinò al golf a tredici anni, quando era già un discreto tennista, durante una vacanza in Sudafrica, dove ha alcuni parenti e dove, si sa, si trovano i diamanti. Quasi folgorato, al ritorno a casa scopre che, per fortuna sua e nostra (dell’Italia golfistica, intendo), hanno appena aperto il San Domenico Golf, dove opera il maestro Pietro Cosenza, a cui si affida da subito. Lavora per affinare la tecnica e abbandona presto il grip a mani invertite dei primi tempi che rendeva il suo swing piuttosto “particolare”. Tanta dedizione, ma certo, senza i genitori che lo sostengono, supportano e trasportano fisicamente, difficilmente otterrebbe qualcosa. Invece, la famiglia tutta s’impegna e anche i parenti sudafricani favoriscono le numerose trasferte all’Accademia di Gavin Levenson, un ex giocatore di circuito europeo e americano, che gli trasmette molto della sua esperienza e lo invoglia a coltivare il suo talento.
Nel Sud Italia non è mai nato un grande giocatore di golf, fatta eccezione per un certo Antonio Penna, detto “Toney”, che però da Napoli se ne andò bambino e negli USA crebbe e vinse tre titoli sul circuito, senza che in Italia fosse mai riconosciuto come compatriota, nemmeno quando la sua bravura di artigiano diffuse anche in Italia il suo nome e marchio fra gli amanti dell’attrezzatura di eccellenza. Per Lapo è diverso: il Sudafrica è una tappa importante nella formazione, ma la vera base restano il San Domenico e gli allenamenti con Pietro. Già da dilettante veste con grande orgoglio la maglia azzurra e si fa notare per una vittoria agli Internazionali d’Olanda e nel Città di Roma. Non un granché, obiettivamente, rispetto ai successi nazionali e internazionali di altri azzurri della sua generazione; ma anche Francesco Molinari (un altro interista) non ha vinto molto da dilettante.
La sua determinazione quasi ostinata, la passione smisurata e l’invidiabile serenità del suo carattere lo portano al professionismo sul Sunshine Tour; poi, dopo le prime due stagioni, entra anche nella Squadra nazionale professionisti. Come ai tempi del dilettantismo, la maglia azzurra non è stata solo un premio, ma soprattutto un incentivo importante: e così conquista la Carta per l’European Tour 2016. Annata non positiva, ma certo formativa e Lapo non demorde. Le tre successive stagioni sul Challenge Tour ne fanno un giocatore completo, solido, fisicamente roccioso grazie ai continui allenamenti in palestra e a casa e grazie al connubio fra Pietro Cosenza, il maestro di sempre, e Massimo Scarpa, il coach di poche parole ma di eccezionale incisività. Una crescita continua; e le soddisfazioni cominciano ad arrivare: per un atleta che ha sempre onorato le convocazioni in maglia azzurra, la medaglia d’argento ai Giochi Europei del 2018 è stata una consacrazione e un trampolino per le capacità del ragazzo, anzi dell’uomo: ha 29 anni. Ora lo aspettiamo sul Tour maggiore e potrebbero esserci altri diamanti sulla sua strada.
Da “Il Mondo del Golf Today” n° 306 – novembre 2019