ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

La prima volta che giocai a St Andrews, tanti anni fa, fui colpito dal numero impresso sulle palle del campo pratica: 3.57, singolare pro-memoria per il tempo a disposizione sul giro! L’invasione di giapponesi e americani aveva fatto prendere una brutta piega anche all’Old Course, tempio del Golf, costringendo i membri del Board a drastici provvedimenti nei confronti delle lumache straniere che, dopo quattro ore, venivano fatte accomodare, peraltro con restituzione percentuale del non proprio modico green fee.

Un volta, invece, capitai a Muirfield, vicino a Edimburgo, uno dei più bei campi del mondo, una domenica riservata esclusivamente a partite foursome. Tempo medio impiegato: 2 ore e 45 minuti! In pratica, mentre il compagno giocava il tee shot, bisognava affrettarsi verso il punto in cui presumibilmente atterrava la palla, una sorta di catena di montaggio che, in teoria, consente di comunicare col partner solo in green e nei trasferimenti. Eccessi anglosassoni, per carità: in medio stat virtus!

Ma, da un ventennio al seguito dei circuiti che contribuisco a organizzare, vi posso anticipare che in Italia, il Paese del pianeta con la più alta concentrazione di gare, giocare è diventato una sofferenza. Se gli italiani stravedono per coppette e piattini d’argento, poco male; il problema è che troppi pensano di giocare un Major, trasformando una piacevole partita di Golf in un calvario. Stare mediamente in campo ben oltre le cinque ore, persino in una 4 palle Stableford, è una follia, un malcostume dilagante che bisogna stroncare passando dai fiumi di parole spese a fatti concreti.

Nemmeno il provvidenziale avvento dei telemetri è servito a granché, se non a evitarci il supplizio di deambulazioni conta-passi da piastre e paletti delle varie distanze. Ci si potrebbe illudere che i biblici ritardi siano causati dalla coscienziosità e dalla correttezza dei giocatori, indugianti su zolle e rastrelli. Macché: i fairway sono campi di battaglia e, se non si piazza, la palla è fagocitata dai divot, per non parlare dei bunker, considerati spiagge da beach volley! E il passo? Figuriamoci. Concederlo, come previsto dalle Regole quando si cerca la palla per 5 minuti, magari a chi ha già aspettato la buca prima per lo stesso motivo, è un’onta, un’umiliazione insopportabile.

Quando, ragazzino, giocavo alla Mandria, Renzo Del Guerra, il segretario per antonomasia, non guardava in faccia nessuno, dai Nasi, cugini degli Agnelli e proprietari di mezza Fiat, all’ultimo arrivato. Oggi, invece, in tempo di concorrenza spietata – se non sleale – fra i Circoli, chi osa redarguire un socio che, da una parola in su, sloggia alla volta di chi gliele canta più dolci? Concludo con un’iperbole, lasciandovi il calcolo della pausa media tra un colpo e l’altro, escluso il putt, considerando che un buon giocatore, diciamo hcp 10, ne tira una cinquantina spalmati in 5 ore e mezza. Da bradipi del Golf, avremmo diritto almeno a una deroga dell’R&A di St Andrews: poter praticare in gara, perché no?, con una mini-rete portatile, nella spasmodica attesa del prossimo colpo!

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