Mille storie confluiscono

dentro un evento come l’Open d’Italia. Il campo scrive le sue, dettate dall’aritmetica dei colpi (e magari se avrete un po’ posticipato la lettura di questo numero, tutto sarà già accaduto). Ma le vicende di giocatori, tecnici e persino di una sede tutta da raccontare come l’Olgiata, non si esauriscono nel puro conteggio di birdie e bogey che avrà designato il vincitore del nostro torneo. Nasce così la scelta editoriale per questo numero speciale dedicato all’Open, una festa mobile che migra attraverso le stagioni, passando dai giorni degli alberi in fiore a quelli delle foglie morte al seguito di un calendario europeo intento a dribblare le concomitanze con il Tour americano: raccontare gli uomini e le storie che ruotano attorno all’Open, affrancandosi (come deve fare un mensile) dai vincoli dell’attualità stretta.

 

Perciò dalle pagine che seguono

potrete conoscere meglio personaggi come Denis Pugh, il tecnico-ombra di Francesco Molinari,cui è dedicata la copertina, che ha accettato di parlare anche della grande tragedia personale che ha segnato la sua vita; o come Shane Lowry, l’irlandese glorificato in (Nord) Irlanda che insegue adesso il secondo sogno della sua carriera: un posto in Ryder Cup (e pare superfluo specificare quale fosse il primo). Anche Edoardo Molinari ha avuto molto da raccontare a Stefano Cazzetta: dieci anni fa proprio all’Olgiata, vincendo il terzo titolo stagionale sul Challenge Tour, riaccendeva il motore della sua carriera pro che l’avrebbe portato, attraverso vittorie varie, fino alla Ryder 2010, quella di “…Two Molinaris, there are just two Molinaris”, come canticchiò perfino il Principe Carlo d’Inghilterra, in visita al team europeo a Celtic Manor. Costretto successivamente nei panni un po’ scomodi de “l’altro Molinari”, è ora in piena fase di rilancio. E come sarebbe bello se, risultati alla mano, riuscisse quest’anno a creare un imbarazzo a capitan Harrington. E cioè: a fronte di un Dodo capace di tornare ai livelli del 2010, chi scegliere come partner di Francesco in Coppa: il fratello di sangue o il fratello di campo, ovvero quel Fleetwood con cui ha sbaragliato chiunque abbia attraversato la sua strada a Parigi? Un timido sogno: ma la ferrea volontà di Edoardo può autorizzare questo e altro.

 

E quanto alla pattuglia italiana,

mai così competitiva, abbiamo lasciato a Silvio Grappasonni, che li ha visti crescere (e ci si è anche misurato) il compito di analizzare i “giovani leoni”: da Pavan a Migliozzi, da Paratore a Bertasio a Gagli. Le nostre “Frecce tricolori”, come li abbiamo ribattezzati, che portano in dote un elenco di successi e piazzamenti inversamente proporzionali all’esiguità della nostra base di praticanti, che continua a stagnare.

 

E poi, l’Olgiata: un luogo

incantato che affonda le sue radici addirittura nella leggenda ippica di Ribot e che fin dai primi dei suoi 58 anni di storia ha ospitato il Gotha del golf mondiale, come racconta con il suo ormai raro gusto per la bella scrittura il nostro “Senior Contributor” Roberto Zoldan.

 

Storie internazionali e storie italiane, dunque.

Come italianissima, nelle sue contraddizioni, è la vicenda di un campo-gioiello come Is Arenas, che ha festeggiato in estate il suo ventesimo compleanno a dispetto di tutti gli ostacoli che una burocrazia ottusa e una congiura di ostruzionismi vari hanno seminato lungo il tenace cammino di un imprenditore-professore, competente e illuminato, come l’ingegner Piero Maria Pellò, il costruttore di un sogno.

 

Mi rendo conto, in conclusione,

di aver fatto forse un eccessivo ricorso alla parola “sogno”. Ma in fondo cos’è lo sport se non una fabbrica di miti, di epopee e, dunque, di sogni? Invoco, per questo abuso, la clemenza della corte. Cioè voi, cui auguro buona lettura.

Da “Il Mondo del Golf Today” n° 305 – ottobre 2019

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