ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Anche se non è più imbattibile, Tiger Woods resta carismatico e unico. Un personaggio magari chiacchierato ma sempre amato. E seguitissimo. Ad esempio, all’Open Championship…

Non c’è nulla da dire: la miglior conferenza stampa di ogni torneo è sempre e comunque quella di Tiger Woods che, per me, rimane il più Grande. Prima dell’inizio di un torneo, il rito vuole che tutti i migliori transitino a deporre davanti ai giornalisti. E il rito si è ripetuto puntuale anche prima dell’Open Championship di luglio. Il martedì, il 17, ne sono passati tanti – uno ogni mezz’ora – e fra questi Luke Donald, Lee Westwood e, appunto, Tiger. Ai tre è stato chiesto quali auguri avrebbero voluto fare a Nelson Mandela per il suo compleanno. La migliore risposta è stata di Woods che, per una volta, ha rotto la tradizione raccontando un aneddoto personale di quando è stato invitato, con suo padre, a casa di Mandela nel 1998. «Stavamo guardando i quadri ma ci sentivamo come immersi in un’atmosfera mistica. Ho guardato mio padre e ho detto: “Ehi, pops, non ti senti diverso qui?”. “Sì”, mi ha risposto, “mi sento come te”. Poi ci siamo accorti che il presidente Mandela stava meditando in un angolo».

C’è sempre stata una sensazione diversa anche quando Tiger Woods era in una stanza, in campo pratica o sul percorso. Difficile da credere adesso, ma ai vecchi tempi la stampa serviva a osannarlo. Poi è successo quel “qualcosa” nel novembre 2009 che ha a che fare con una macchina, un idrante, una moglie con un driver in mano e un numero infinito di cameriere; e nulla è più stato come prima. Dal 2010 Tiger è tornato due volte nel Regno Unito – per giocare l’Open a St Andrews e la Ryder Cup – e il tenore delle sue conferenze stampa è sempre stato diverso. Woods è diventato un idolo caduto. Ha sempre dribblato e sorvolato sulle domande dirette sulla sua vita personale. E adesso? Due anni più tardi, abbiamo vissuto nello stato surreale in cui la versione ufficiale della storia di Woods non include alcuna menzione su moglie, idrante, auto o un’altra qualsiasi delle altre mortificazioni pubbliche.

Era il Grande Intoccabile, ora non lo è più. È riuscito a far diventare la sua sporca storia la “Grande Innominabile”, quasi una prodezza sorprendente. Un giorno disse: «Nella vita ho imparato che è pericoloso non parlare di tutto e lasciare le cose come stanno, soprattutto quando qualcuno ti ha offeso. Credi ti faccia crescere e che occuparsene troppo faccia perdere di vista le cose importanti. Pensi: “Entrambi sappiamo cosa è successo, mi hai rotto il naso, non c’è però bisogno di infierire…”. Ma poi, orrore!, un giorno la questione torna a galla e l’altra persona ti dice allegramente: “Non dimenticherò mai come ti sei comportato da stupido”, e ti rendi conto del catastrofico errore di giudizio che hai compiuto». Ho riportato questa affermazione di Tiger Woods perché, quando all’Open gli è stato chiesto del suo crollo, ha parlato come se il suo intero problema fosse dipeso dal suo ginocchio. “Ho dovuto ricominciare praticamente da zero, prima di tornare di nuovo in salute”, ha detto. “Essere completamente fuori dai giochi per un paio di anni non è stato molto divertente. Ho perso quattro Major solo per problemi fisici”. Ah, è questa la versione ufficiale, adesso? All’onnipotente volontà di Tiger Woods di plasmare la realtà, non vi è, apparentemente, fine. E ora che cosa abbiamo di lui? Beh, roba molto piacevole, devo ammettere. Ogni volta che sorride in una conferenza stampa, una dozzina di macchine fotografiche scattano a più non posso; il che va solo a dimostrare che un Tiger accomodante e allegro è quello che i media preferiscono vedere. “Ha dei bei ricordi di quando ha vinto la Silver Medal (per i dilettanti) a Lytham nel 1996?”, gli hanno domandato. “Sì, grazie”, ha risposto. E poi ha aggiunto che alla 1 – essendo un par 3 – tutti devono far ricorso al proprio coraggio e ha affermato che il suo comportamento piacevole durante quella settimana (cioè grande disponibilità agli autografi ai fan) non era in alcun modo insolito (“lo faccio ogni settimana”).

Da Tiger a Chicco. Ci ha emozionati vedere come il competente pubblico britannico si sia comportato con lui. Ad esempio, sul green della 3 abbiamo colto una signora che, al marito che le chiedeva quale fosse il match in arrivo, ha risposto “Molinari and… some others!”. Accompagnandosi con un gesto della mano che stava a significare che i suoi compagni di gioco poco contavano. Ebbene sì, il numero 2 in Europa (al momento dell’Open) è italiano, è nostro ed è Francesco Molinari!

L’emozione per Chicco ha contrastato con l’amaro in bocca rimasto per non essere riusciti a vedere in gara Matteo Manassero, arrivato a essere prima riserva. Ma lì è rimasto. Il tutto dopo che, tranquillamente a casa a Verona, è stato avvisato alle cinque del pomeriggio di mercoledì che era scalato fino a diventare seconda riserva. È scattata la ricerca affannosa di un volo, l’arrivo a Londra a notte fonda, il taxi per Lytham (a “sole” 400 sterline), un’ora di sonno, la sveglia, la registrazione al Comitato ed è iniziata una lunga attesa terminata, purtroppo per lui, alle 16.11 con l’ultima partenza e nessun altro ritiro a parte quello di Russ Cochran (che ha consentito all’americano Michael Thompson di entrare all’ultimo nel field). Matteo ha 19 anni, avrà molte altre occasioni; però a noi tutti tifosi è dispiaciuto immensamente.

Una nota in calce all’Open Championship. È il torneo dei “più”: il “più” bello, il “più” divertente, il “più” emozionante… ma quest’anno anche il “più” pesante e faticoso sia per il pubblico e che per noi della stampa. Una logistica delirante con parcheggi lontanissimi, bus rari, lunghe camminate con zaini o trolley per raggiungere il campo (gli spettatori) o il luogo di lavoro (i giornalisti). In più – e questo è il peggio – bisogna pagare per lavorare. Ovvero The Open è l’unico torneo al mondo, e sottolineo l’unico!, dove, nel 2012, si pagano a British Telecom da 40 (se si prenota prima) a 60 euro (con pagamento in loco) per avere l’accesso a internet! Girava voce che questa sarebbe stata l’ultima volta che si organizzava l’Open al Royal Lytham & St Annes. Non stento a crederci.

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