ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Ci stiamo avviando al regno dei nuovi “Big Three” oppure dobbiamo pensare a un’egemonia dei “Fab Four”?

Sarebbe a dire: dopo i risultati dell’ultima parte di stagione, dobbiamo immaginare una continua sfida tra Dustin Johnson, Jordan Spieth e Justin Thomas, dominatori di quest’anno, sulle orme dei leggendari Nicklaus-Palmer-Player, oppure dobbiamo comunque aggiungerci Rory McIlroy, a completare un quartetto stile-Beatles, nonostante il suo deludente 2017?

Thomas è l’uomo nuovo, capace di vincere cinque volte entro i primi di settembre, compreso l’ultimo Major in programma. Ha solo 24 anni e dimostra di saper ragionare come un veterano. Fa bene un po’ tutto e ha imparato, con l’esperienza, a ragionare colpo su colpo senza lasciarsi tentare dall’impossibile quando non è il caso di rischiare, ma sapendo essere aggressivo nei momenti giusti. Dimostra di reggere benissimo la pressione. Ha cominciato l’anno in maniera straordinaria poi s’era un po’ eclissato, mancando sei tagli di cui tre consecutivi fra giugno e luglio, ma ha saputo venir fuori di nuovo, e in maniera prepotente, nella fase conclusiva della stagione, decisiva per la FedEx. La sua amicizia di lunga data col coetaneo Spieth sta alimentando una sana rivalità. I due si aspettano a vicenda sull’ultimo green quando l’uno o l’altro è in lizza per la vittoria ma, naturalmente, fanno di tutto per superarsi (perché chi perde, comunque… rosica un po’, per dirla alla romana).

Spieth è il più “normale” dei tre, relativamente parlando. Non è certo corto, ma vince soprattutto grazie al gioco corto e alla straordinaria precisione nei putt. È quello che, negli ultimi anni, ha vinto di più e rappresenta un po’ l’antitesi di Tiger Woods, sul piano umano. Bravo ragazzo, non spavaldo, perfettino nei modi, ammirevole nei suoi rapporti familiari (specie con la sorellina autistica), sembra fin troppo impeccabile. Da Tiger, però, sta ereditando il “vizietto” migliore: cioè di essere quasi sempre in contention quando non riesce a vincere. Le sue quattro vittorie stagionali, impreziosite dall’Open Championship conquistato con quello straordinario finale, non dicono tutto: in realtà, Spieth ha infilato anche tre secondi e due terzi posti. Insomma, altre cinque volte è stato a un passo dal vincere: proprio come faceva il Tiger dei tempi d’oro (che non mancava un taglio manco a morire). La sua continuità lo candida a tornare al primo posto mondiale dove, appunto, siede Dustin Johnson.

Il quale dovrebbe proprio stramaledire quello scivolone sulle scale alla vigilia del Masters cui si era presentato dopo tre vittorie consecutive. Un atleta con la sua imponente struttura fisica e muscolare fa probabilmente più fatica di altri a recuperare da infortuni così e lui ci ha messo tre mesi abbondanti a tornare esplosivo come a inizio stagione. Poi, quel drive in volo per 300 metri alla prima di spareggio contro Spieth al Northern Trust di fine agosto ha dimostrato quanto diverse possano essere certe buche per lui: ha avuto in mano un sand per la bandiera, mentre Spieth ha tirato un ferro 6. La grande crescita di DJ è tutta nell’affinamento del gioco corto. Ha lavorato molto sugli approcci intorno al green e siccome, con la sua potenza, si trova a giocarne almeno 7/8 a giro, è chiaro che, quando è in giornata, diventa quasi imbattibile. E questi sono i nuovi “Big Three”.

Ma, obiettivamente, si può escludere dal vertice uno come McIlroy?

È vero, ha avuto un’annata grigia, con problemi fisici e i suoi migliori risultati sono stati i quarti posti all’Arnold Palmer e all’Open Championship.

Poco, troppo poco per uno come lui che, tecnicamente, è forse il più completo di tutti.

Ha annunciato una sosta autunnale per rimettersi fisicamente a posto; però, nelle sue ultime uscite in campo è parso un po’ svogliato, come rassegnato agli eventi.

Non è da lui e c’è da scommettere che, dopo la pausa, tornerà quello di prima. Cioè un altro potenziale Numero 1.

Ho escluso Jason Day dalla lista, ma non intendo sottovalutare un giocatore del genere. Però esce da un anno difficile, senza vittorie al momento in cui scrivo, con un secondo posto al Byron Nelson come miglior risultato.

E stiamo parlando di maggio: dopo, poco e niente. Ha dovuto affrontare la grave malattia della madre e, anche lui, qualche problema fisico.

Però il rendimento è stato troppo scarso, a questi livelli. Dovrà dimostrare di saper tornare quello che era. Se no, saremo “costretti” a fermarci ai “Fab Four”.

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