ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Phil Mickelson ed Henrik Stenson giungono sul tee della 1 per l’ultimo giro del 145esimo The Open Championship.

La Claret Jug è lì, in una teca, ad osservare dall’alto della sua importanza e magnificenza il tee shot di ogni giocatore.

Lefty la vede e come se fosse una persona a lui cara, una figlia o la moglie, le manda un bacio.

Un gesto romantico che faremo fatica a dimenticare. È uno dei tanti motivi per cui ieri a Royal Troon ha vinto, in parte, anche Lefty.

Ha vinto per la sua eleganza, il suo essere un vero gentiluomo. Alla fine della 18, ha abbracciato Stenson, come si fa tra due fratelli, e gli ha parlottato nell’orecchio. Una scena, che ha richiamato alla mente l’abbraccio tra Jack Nicklaus e Tom Watson dopo il famoso “Duel in The Sun” di Turnberry. Ha in parte vinto per il gioco che ha messo in campo. Score magnifici 63-69-70-65, che bastano sempre per vincere un Major. E per la sua età: 46 anni e non sentirli affatto, dimostrando ai più giovani di che pasta è ancora fatto.

Ha in parte vinto perché è semplicemente Phil Mickelson e in molti abbiamo desiderato alzasse lui la sua seconda Claret Jug in carriera. Così non è andata e di certo in pochi, di fronte a uno Stenson così travolgente, avrebbero tenuto lo stesso ritmo di gioco di Lefty. Ieri, entrambi questi artisti del golf hanno messo in campo un capolavoro. Stenson ha fatto tutto alla perfezione e Lefty… Se avesse imbucato l’eagle alla 16 magari avremmo raccontato un’altra storia.  Poco importa, perché il campione americano in questo The Open ci ha dato e insegnato tanto.

Ha dimostrato che nel golf l’età conta fino ad un certo punto. Conta di più l’esperienza. Conta amare questo sport e giocarlo come se fosse il primo giorno. Conta sapersi rimettere in gioco, specialmente dopo due anni che non vinci. Come ha fatto lo scorso anno, quando dopo otto anni ha abbandonato il fidato coach Butch Harmon, per mettere il suo swing nelle mani di un quasi sconosciuto Andrew Getson. E forse è stato proprio questo a cambiarlo.

Ha iniziato la stagione alla grande. Secondo all’AT&T di Pebble Beach, quinto al WGC Cadillac Championship, quarto al Wells Fargo, secondo al FedEx St. Jude Classic. E ora, un altro secondo posto che ha   un po’ il sapore amaro di un primo posto mancato. Un secondo posto, che gli ha fatto provare la stessa sensazione vissuta, come già ricordato, da Nicklaus a Turnberry nel 1977. Il tutto a 46 anni compiuti lo scorso giugno,  avendo giocato bene, dando il meglio di se stesso ma senza riuscire a vincere.

“Forse è il miglior The Open che abbia mai giocato senza vincere”, ha affermato Mickelson a fine gara, cercando di trovare una spiegazione a quel -17 che non gli ha fatto conquistare la Claret Jug. “La cosa più strana è che non trovo un momento su cui riflettere e su cui poter dire ‘se solo avessi fatto così’ oppure ‘avrei dovuto fare in un altro modo’. Ho chiuso l’ultimo giro di un Major in 65 colpi e senza bogey. Normalmente basterebbe per vincere, invece sono stato battuto”.

Non preoccuparti Phil, per noi hai vinto lo stesso, insieme con Stenson. Nel frattempo, grazie. Le nuove generazioni di talenti sono belle da vedere giocare e vincere, ma tu e Stenson, in questo weekend, ci avete fatto riscoprire un golf diverso, un golf che sa un po’ di passato. Un golf sontuoso, che ti lascia attaccato alla TV, senza accorgerti dello scorrere del tempo. Il golf che quando finisce dici: “wow, che spettacolo”. Il golf che appassiona e crea una sana “dipendenza”. Il golf che ha fatto la storia, senza il quale ora non ci sarebbe questo presente… E il golf di cui abbiamo sentito per anni la mancanza.

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