ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

È quasi incredibile la quantità di storie che questo 144esimo Open ha scritto, sta scrivendo e scriverà nel secondo lunedì di sempre, visto che solo nel 1988 il torneo si spinse oltre la domenica per consegnare la vittoria a Seve Ballesteros.

Cercherò di sintetizzarle ma con una premessa: le storie sono tante ma la Storia con la S maiuscola possono scriverla solo in due. E cioè Spieth, vincendo il terzo Major consecutivo e continuando la corsa per il Grand Slam oppure Paul Dunne, il dilettante irlandese che dopo tre giri è incredibilmente in testa a -12 con Oosthuizen e Jason Day, un colpo meglio di super-Jordan Spieth.

Cominciamo da qui: Dunne non è un Carneade qualsiasi: 23enne dilettante di altissimo livello, punto di forza della squadra  di golf della Birmingham University (in Alabama, non nel Regno Unito) si era già qualificato per l’Open Championship 2014, ma a Liverpool era uscito al taglio. Quest’anno si è ripresentato alle qualificazioni e le ha passate con due giri in 69. Arrivato a St Andrews, come se fosse la cosa più naturale del mondo, ha continuato con altri due giri in 69 per poi metterci su la ciliegina di un 66 al terzo giro, senza un bogey. Del resto, in tre giorni, di bogey ne ha fatti appena due, contro 14 birdies. Serve aggiungere altro ? No, se non la constatazione di un’imperturbabile tenuta nervosa. Un dilettante che vince la Claret Jug ? Fino a ieri, fantascienza. Oggi, una possibilità.

Ed eccoci a Spieth. “Posso vincere” aveva detto dopo il secondo giro chiuso in par a cinque colpi dal leader Dustin Johnson, oggi crollato. Voglio vincere” ha detto invece in conferenza stampa dopo il 66 del terzo round (con un -4 nelle seconde nove, le più delicate, che dice tutto della sua detrminazione, manifestata anche nel salvare par importantissimi come alla 17 e alla 18, dove aveva sbagliato l’approccio). Tutto, sempre, con un’estrema semplicità, senza spacconerie ma anche senza timidezze. È dai tempi di un signore chiamato Ben Hogan che nessuno si aggiudica tre quarti di Slam. Lui è a un colpo dai primi e sa di potercela fare. Così come  sa che il primo posto nella classifica mondiale è a un passo, visto che il bambinone Rory ha pensato  bene di fracassarsi una caviglia giocando a calcio a due settimane dal torneo.

E le altre storie ? C’è solo l’imbarazzo della scelta: Harrington che riaffiora con un 65 ed è pienamente in contention per un altro Major, dopo la lunga eclissi. Niebrugge, un altro dilettante che di nome fa Jordan (dice nulla l’assonanza ?) e che, portatosi a -9 con uno splendio 67, si è visto rubare la scena da Dunne. Senza di lui, tutti parlerebbero di questo amateur USA infilatosi fra i grandi dell’Open Championship. Poi ancora: a -9 ci sono anche pezzi da novanta come Garcia, Adam Scott e Zach Jonhnson, in piena corsa. Con loro ci sarebbe stato adirittura a -10 anche Eddie Pepperell, se non avesse sbattuto la pallina contro la fiancata dell’hotel alla solita, tremenda 17 (che ha una media-score di circa 4.90: non male per un par 4 ) condannandosi al doppio bogey che l’ha retrocesso a -8. Comunque, nello storico lunedì scozzese, ci sono almeno una quindicina di giocatori in corsa per la vittoria. E c’è anche, un po’ più giù un clamoroso ritorno: quello di David Duval, l’ultimo numero 1 prima della dittatura-Tiger, che a 43 anni è riemerso dal nulla dei mille tagli mancati negli ultimi anni, per arrampicarsi al 33esimo posto del Torneo che aveva vinto nel 2001. A volte  tornano. Chissà se, vedendolo, a Tiger è frullato qualcosa per la testa.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here