Se il golf sia maggiormente sport o gioco è una questione aperta e dibattuta da sempre. Che probabilmente non verrà mai risolta del tutto. Ma dobbiamo per forza definire ciò che, in ultima analisi, è semplicemente una manifestazione di arte?
A pedante, pedante e mezzo. La fate lunga, e siete pure un po’ schizzinosi, con la distinzione tra “sport” e “gioco”. Per sminuire il nostro amato golf, lo declassate (ai vostri occhi) a gioco? E allora vi infliggiamo una dissertazione. Perché in certi casi non bisogna avere pietà; e perché queste righe valgano da dura lezione e chiudano per sempre il dibattito, oltre a silenziare definitivamente le battutine latenti sul golf e sui golfisti. Non è un racconto giallo e quindi fuori subito la soluzione dell’enigma: il golf, semplicemente, è entrambe le cose, uno sport e un gioco. Come succede al calcio, al rugby, al tennis e a mille altre discipline (ahia, ecco una terza definizione…). Comunque sappiate che non ci offendiamo, anche se l’intento è denigratorio, perché tra i due corni del (finto) dilemma la parte nobile è il gioco; e lo sport, in confronto, è un parvenu.
Il gioco si può definire, ma fatichiamo a capire veramente cosa sia. In superficie, è un’attività non produttiva o lavorativa finalizzata a un obiettivo e governata da un insieme di regole. Di tutto ciò la parte importante, che veramente caratterizza il gioco, è l’insieme di regole: il gioco è proprio fatto delle sue regole. Che poi, nel linguaggio comune, diventano proverbiali, come tutte le cose che fanno un po’ paura a chi usa le parole. Un gioco è l’esplorazione del mondo per via sperimentale. Il gioco è mimetico e quindi crea ogni giorno mille mondi. Tra le regole ce n’è una fissa, inevitabile: quella del limite temporale (all’infinito tutti i giochi convergono o impazziscono). E se per le regole in generale il linguaggio comune ci ricorda che è bene “stare al gioco”, la scadenza è nel “bel gioco che dura poco”. Il gioco crea un verbo (che a sua volta sfugge di mano, perché è parola antichissima). E non vorrete confrontare la bellezza misteriosa di “giocare” con la macchinosità fredda del “fare sport”. La parola ci si rivolge anche contro: mi hai giocato, ti sei preso gioco di me. E crea un aggettivo, quel “giocoso” un po’ demodé ma sfuggente, come il sostantivo da cui origina. Gli economisti studiano i comportamenti razionali con conoscenze limitate (cioè la vita)?
Ecco, come strumento, la teoria dei giochi. Una tal cosa la faccio, sì, per gioco, ma attenti ai giochi pericolosi. E attenti al gioco. Perché le regole, quando di mezzo c’è l’imprevedibile, diventano spietate. Le regole durano nel tempo, anche quando il numero su cui avevamo puntato si rifiuta di uscire, e ci incastrano. Ma cosa c’è di meglio per segnalare il passaggio tra un prima e un dopo del dado che è tratto? Lo sport arriva dopo. Arriva… a giochi fatti. Figlio, dicevano gli umanisti della fine dell’Ottocento, a caccia di radici intellettuali, guarda un po’, dei Giochi. Quelli organizzati dai greci, che con le loro regole creavano addirittura la sospensione dei rapporti politici e bellici. La rappresentazione della guerra ne prendeva il posto. Ma la forza era quella del gioco. Il gioco è una cosa tremendamente seria. È giocoso ma serio. Lo sport nasce dal tempo libero, dalla nascita del tempo libero. Dalle classi sociali che cominciano ad averne e codificano il diporto, il perder tempo, con la parola della potenza dominante. Poi diventa anche strumento di eugenetica, di miglioramento igienico (secondo ideologia dell’epoca).
E nelle mani sbagliate diventa uno strumento pericoloso di nazionalizzazione delle masse. Poi si trasforma di nuovo e diventa una delle pseudo-religioni moderne. Ma si intrufola là dove c’era il gioco e ne adotta (e quella è la mossa vincente) l’impalcatura delle regole e, per derivazione diretta, la misurabilità e quindi l’agonismo e la competizione. Così sport e gioco si mischiano con un’intesa di grande successo. D’altra parte il gioco è un concetto fungibile, dove c’è un terreno fertile il gioco trova spazio (potere, sesso, perfino guerra). E la commistione gioco-sport ha costretto gli studiosi del settore a distinguere lo sport in generale da quello cosiddetto “espressivo”, fatto per gratificazione e non per i risultati, e da quello “strumentale”, il cui obiettivo invece è il benessere fisico e anche mentale. Distinzioni utili, perché nel discorso medio la confusione sul termine “sport” è totale. E qui torniamo al golf. Prendete una qualunque delle tre definizioni di sport e sarà applicabile al golf: quella agonistica che nasce dall’unione col gioco, quella espressiva e quella strumentale. Ah, un’ultima cosa: il golf, comunque, è un’arte.