ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Magone. Non trovo altra parola per descrivere la penosa impressione suscitata dall’ultima, fugace apparizione in campo di Tiger Woods, a Dubai.

Vedere un campione così grande (il più grande, indiscutibilmente, con Nicklaus) aggirarsi fra le buche con la postura quasi da uomo anziano mentre spara un incredibile 77 in condizioni ambientali ideali è stato veramente uno spettacolo malinconico.

Tiger ha giocato di mattina a Dubai in assenza di vento su un campo bagnato e quindi morbido. Meglio non gli poteva andare; peggio non avrebbe potuto giocare. L’ho detto in tv e lo ripeto qui: conosco bene quel campo e posso garantire che in quelle condizioni per un pro girare in par è davvero semplice (mentre fare 67 o 68 è sempre un altro paio di maniche). Uscire sotto il peso di un 77 è inimmaginabile. Come si sa, l’agente di Tiger ha poi comunicato il suo ritiro dalla gara adducendo nuovi problemi alla schiena, operata due volte. Ma in campo, per la verità, non se n’era avuta la minima avvisaglia. Piuttosto viene da pensare (tremando…) a quanti ne avrebbe potuti tirare il venerdì quando s’è scatenata una specie di tempesta di vento. Meglio non pensarci. Successivamente l’ex numero 1 del mondo si è cancellato dai due tornei americani previsiti come preparazione al Masters.

E a questo punto vien da chiedersi se ci sarà davvero ad Augusta. Giocando così, quanti ne potrebbe tirare tra i saliscendi e i green di cristallo del campo più famoso del mondo, dove un tempo dominava la scena scherzando gli avversari? Anche qui, meglio non pensarci, ma il caso ormai è davvero complicato. Che si voglia credere o no al ritorno di “back spasms”, dolori alla schiena, addotti dal suo agente come motivazione ufficiale del ritiro (personalmente sono piuttosto perplesso), il problema resta. Tiger non è più lui. E non è nemmeno all’altezza di un mediocre giocatore del Tour. Non gioca un vero torneo da quasi due anni (l’Hero World Challenge, la gara della sua Fondazione, era un Invitational limitato a 18 giocatori, senza taglio) e non appare mai in controllo di se stesso e del suo gioco: né dal tee, né dal fairway (ma più spesso dal rough, vista l’imprecisione costante dei suoi tee shot), né tantomeno sul green, dove un tempo faceva davvero la differenza.

Il suo non sembra un problema tecnico o fisico: dà tutta l’idea di essere un problema mentale. Minato da un’insicurezza di fondo, perché incapace di riprodurre quel gioco che l’ha portato a dominare la scena per quasi un ventennio, Tiger si è smarrito. Fa quasi sorridere evocare dolori alla schiena nel caso di un campione come lui, capace nel 2008 di vincere l’US Open, dopo spareggio, con una gamba praticamente rotta. Dagli spogliatoi del Tour filtrano “rumors” allarmanti sul suo stato di frustrazione. E si sa che, in certe circostanze, la testa è, insieme, il fattore determinante e il peggior nemico. Tiger sta inseguendo il sogno di tornare competitivo pur avendo varcato la soglia dei 40 anni e, ancora una volta (come per il numero di vittorie nei Major) il riferimento è Nicklaus che, contro i suoi 14, ne ha 18 in bacheca, l’ultimo dei quali conquistato a 46 anni. Ma quelli erano altri tempi: si giocavano al massimo una ventina di tornei l’anno e Nicklaus non aveva la stessa concorrenza, né i postumi dei suoi tanti infortuni e, ultimo ma non ultimo, nemmeno una vicenda matrimoniale drammaticamente finita a suon di colpi col ferro 9.

Mi vien quasi male a dirlo ma stavolta il dubbio è lecito: che sia finito davvero?

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