ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Quando Greg Norman (e ho detto Greg Norman!) vinse a Monticello l’Open d’Italia 1988, si portò a casa meno di cento milioni di lire, utilizzati, in larga misura, per pagare la Ferrari che si era andato a ordinare a Maranello nei giorni di vigilia del Torneo.

Oggi che ci accingiamo a vivere l’edizione più ricca di sempre della nostra storia, il montepremi stellare da 7 milioni di dollari, garantirà al vincitore un assegno da 1.166.660 dollari che farebbero quasi due miliardi di lire (per quello che vale la semplice equivalenza lira-dollari senza tener conto della variazione del potere d’acquisto della moneta dopo trent’anni).

Basterebbe questo a far capire quanto, nel frattempo, sia cambiato il mondo e quanto sia cambiato il Golf. Ma il punto è che l’uno e l’altro stanno cambiando ancora e adeguarsi ai tempi diventa sempre più difficile.

Il Tour Europeo fa sempre più fatica a reggere il confronto con il Tour americano e la fase finale della FedEx Cup, che ha suggellato l’“annus mirabilis” di Justin Thomas e lanciato in orbita un’altra stellina dall’impronunciabile nome di Xander Schauffele, ha sottolineato un un po’ impietosamente le differenze. Gli Stati Uniti sono ormai la vera terra del Golf e, inevitabilmente, dettano legge. Hanno varato, come si sa, una riforma del calendario che prevedrà, dal 2019, un Major al mese nella fase più intensa della stagione: il Masters in aprile; il PGA anticipato a maggio (e il “quinto Major”, cioè The Players, addirittura a marzo); l’US Open in giugno; l’Open Championship in luglio (ultimo, inespugnabile baluardo della vecchia Europa), per poi consegnare tutta la ribalta, in agosto, ai play off della stramilionaria FedEx. Una programmazione che non gioverà all’Europa, contemporaneamente costretta a spostare Wentworth in settembre e impegnata a difendere i suoi tornei di maggior prestigio, quelli delle Rolex Series, fra cui l’Open d’Italia che dall’anno prossimo tornerà alla data di maggio.

Chi segue queste mie note magari ricorderà che da tempo sostengo la necessità che i due Tour si mettano al tavolo e trovino un’intesa che faccia nascere un vero Circuito mondiale, dove l’Europa riesca a salvaguardare il livello delle sue gare più importanti. E ho fatto più volte l’esempio del Tennis che ha saputo trovare un’intesa. Infatti, gli Internazionali d’Italia del Foro Italico, che erano francamente decaduti negli anni Ottanta, sono rinati a nuova e prestigiosa vita rientrando nell’élite del Tennis mondiale e schierando quasi sempre tutti i primi giocatori del mondo. Il che, naturalmente, oltre ad attrarre pubblico, garantisce anche gli sponsor sui ritorni del loro investimento.

Ora leggo che Rory McIlroy ha sostenuto l’identica tesi, facendo riferimento proprio al modello del Tennis e ha prospettato come praticamente ineluttabile la fusione fra i due Tour. Che lo abbia detto McIlroy, e non un Grappasonni qualsiasi, darà certamente molto più peso all’ipotesi. Ma è, del resto, l’unica via praticabile, anche se l’attuale strapotere americano preluderebbe a una specie di annessione dell’Europa, che è in posizione molto più debole, visto che tutti i suoi migliori giocatori (compreso il nostro Chicco) hanno ormai scelto gli States per la maggior parte della stagione e restano ancorati alle loro origini quasi esclusivamente per guadagnarsi un posto in Ryder Cup.

È un tema delicato ma è inutile fingere di ignorarlo, giusto mentre ci accingiamo ad assistere a un’edizione dell’Open d’Italia che sarà molto bella ma che, per sforzi e capitali profusi, meriterebbe di essere bellissima, come tutte le Rolex Series. Ce la godremo, a un anno dall’esaltante “bis” di Francesco Molinari, col piacere di vedere in campo fuoriclasse autentici come Garcia, Rahm e non solo. Ma speriamo, lungo il cammino che ci porterà a Roma ’22, di potercela godere anche un po’ di più.

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