ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Differentemente da Napoleone, per il campione ragazzino Alessio Battista, il nome “Waterloo” evocherà per tutta la vita una vittoria.

La sua prima, bellissima, importante vittoria, ottenuta al Belgian International Golf Team Championship proprio al Royal Waterloo Golf Club, a una decina di chilometri dal sito della storica battaglia.

Piccolo particolare: era un torneo per Under 14 e Alessio, friulano ma di base a Villa Condulmer, l’ha vinto con 14 colpi sotto il par in tre giri, trascinando alla vittoria della Coppa delle Nazioni anche i suoi bravissimi compagni Edoardo Manuzzi e Sebastiano Frau.

Ne parla anche Silvio Grappasonni nella sua rubrica e lui, che su quel campo ha giocato e ne conosce le difficoltà, è il primo a sorprendersi, ammirato, del fatto che ragazzi tanto giovani riescano a ottenere, su campi difficili, risultati internazionali tanto prestigiosi contro avversari di Paesi con ben altra cultura, tradizione e massa di praticanti rispetto al nostro.

È stato, quello di Alessio, l’ennesimo squillo di una stagione felice (un’altra stagione felice, in realtà) per il nostro Golf agonistico amatoriale che solo pochi giorni prima aveva visto Luca Cianchetti e Lorenzo Scalise sfiorare quello che sarebbe stato il terzo titolo europeo consecutivo per l’Italia, negato loro solo da un bogey alla 72esima e da un play-off vinto dall’inglese Plant.

Un inglese contro due italiani: ovvero il migliore dello storico Paese del Golf contro due dei migliori di un Paese che pesca e alleva i suoi campioncini da una minuscola nicchia di praticanti.

Sono pochi ma bravi, gli italiani del Golf, ragazzi e ragazze, come dicono anche le vittorie e i piazzamenti dei nostri impegnati sul Tour.

O, se preferite, sono bravi ma pochi.

E perciò è davvero qualcosa di eccezionale vederli affiorare continuamente ai primi posti di tornei amatoriali prestigiosi dove il livello di concorrenza e di difficoltà dei campi si avvicina molto a quello dei pro.

È compito primario della Federazione, naturalmente, cercare una buona volta di sfondare quel muro dei 100mila tesserati dai quali, in verità, ci siamo anche allontanati negli ultimi anni.

Ma, adattando una famosa frase di John Kennedy (“Non chiedetevi cosa possa fare il vostro Paese per voi, chiedetevi piuttosto cosa possiate fare voi per il vostro Paese”), potremmo anche aggiungere che qualche spinta dovrebbe anche arrivare dal basso.

Nelle pagine di questo numero estivo della nostra Rivista, troverete una serie di riflessioni firmate da Keith Pelley, il CEO dell’European Tour, che ha cominciato a cambiare qualcosa nelle inveterate abitudini del Golf, introducendo nuove e più veloci formule (come quella del Golf Sixies) e che ha annunciato l’intenzione di apportare ancora molti altri cambiamenti.

Che piacciano o meno le sue iniziative, siamo proprio sicuri che non sia venuta l’ora di ripensare anche il modello gestionale del Golf in Italia?

Bisogna privilegiare il Golf di circolo in maniera assoluta oppure tener presenti, in misura maggiore, le esigenze del Golf turistico?

Il modello, unico al mondo, di gare, gare e ancora gare è davvero l’unico possibile per la salute economica dei Club?

Non abbiamo risposte in tasca, chiariamolo subito.

Ci basterebbe sollecitare un confronto di opinioni (anche attraverso interventi su questo giornale), verificare la possibilità di battere nuove piste, capire quali politiche di marketing possano essere adottate per attirare nuovi praticanti.

E, in fondo a tutto ma in realtà prima di tutto, trovare idee per coinvolgere i più giovani: quelli, appunto, fra i quali pescare i nuovi Cianchetti, i nuovi Mazzoli, i nuovi Scalise. Battista, lui, è ancora così “nuovo” che non è il caso di aggiungerlo.

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