ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

La storia del Masters è affascinante come quella – e per certi versi di più – dell’Augusta National Golf Club, che lo ospita ogni anno.

Immaginate di tornare indietro nel tempo e precisamente al 1931, nel pieno della depressione economica americana. Proprio durante questo periodo di grande crisi, in cui la maggior parte dei percorsi non sbarcava il lunario e gli investimenti calavano vertiginosamente, due persone andarono contro corrente: Robert T. Jones Jr, meglio conosciuto come Bobby Jones, e Clifford Roberts, famoso finanziere di New York.

Bobby Jones, allora appena ventottenne e vincitore del Grand Slam nel 1930 (U.S. Open, U.S. Amateur, British Open e British Amateur) decise di uscire per sempre dalla scena del golf competitivo. Così ebbe l’idea di dedicarsi alla costruzione di un grande percorso da golf nello Stato in cui era nato: la Georgia. Doveva essere un percorso incredibile, difficile anche per i golfisti più bravi e un giorno avrebbe dovuto ospitare un importante torneo. Ebbe un significativo appoggio economico nell’amico Roberts che, grazie ad alcuni investitori, riuscì a raccogliere il capitale necessario per comprare il terreno e realizzare il percorso.

Trovarono in vendita per pochi dollari un vecchio frutteto alle porte di Augusta e decisero che quello sarebbe stato il luogo ideale per costruire “il campo da golf”. Il progetto fu affidato all’architetto Alister Mackenzie, che lavorò a stretto contatto con Jones nel disegnare il futuro Augusta National e nel giro di appena un anno fu completato. Era il 1932, il campo era pronto e venne inaugurato nel 1933. La popolarità di Bobby Jones unita agli investimenti di Roberts l’avrebbero fatto conoscere in tutto il mondo, anche se mancava comunque qualcosa: un torneo.

Non un torneo qualunque, sia chiaro: un Major. I due creatori discussero a lungo, persino nei mesi precedenti l’apertura del percorso, sull’ipotesi di ospitare lo U.S. Open, ma purtroppo non ottennero il benestare. Il clima troppo caldo della Georgia non avrebbe creato le condizioni ideali per lo svolgimento del Major americano, che come sappiamo ha sempre avuto una programmazione estiva.

Allora l’idea: l’Augusta National avrebbe avuto il proprio torneo. Un torneo annuale, a cui avrebbero partecipato tutti i campioni del golf. Un torneo che, forse un giorno, sarebbe diventato anch’esso un Major. Nacque così l’Augusta National Annual Invitation Tournament, il predecessore di quello che ormai conosciamo tutti come Masters. A dire la verità Roberts voleva già chiamarlo Masters nel 1934, ma secondo Bobby Jones era un nome troppo forte e presuntuoso, quindi optarono per un’intitolazione meno impegnativa.

Ma come fare a coinvolgere tutti i campioni del golf su un campo nuovo e per un torneo pressoché sconosciuto? Semplice: la chiave era proprio Bobby Jones. Nel 1933, nonostante il suo ritiro avvenuto anni prima, era ancora l’uomo da battere. Una leggenda del golf, il cui nome avrebbe catturato l’interesse di campioni da tutto il mondo, pronti senz’altro a sfidarlo sul suo percorso e al suo torneo. Certo non fu facile convincere Jones: si era ritirato, non voleva più competere e sembrava non l’avrebbe fatto per alcun motivo al mondo. Ma fu Roberts a persuaderlo, come ha riportato nel suo libro “The Story of the Augusta National Golf Club”.

“L’ultima cosa che persuase Bob ad accettare di giocare, così mi confidò, fu dirgli che non avrebbe potuto invitare i suoi amici golfisti sul suo percorso e poi rifiutare di giocare con loro”.

Che sia andata così o meno, non lo sapremo mai. Certo è che nel 1934 si svolse il primo Augusta National Annual Invitation Tournament, con Jones sceso in campo dopo tre anni di assenza alle 10.35 del 22 marzo. Roberts aveva ragione: la sua partecipazione fece la differenza e il risultato fu un successo incredibile. Vinse Horton Smith, con un format particolare: le buche dalla 10 alla 18 furono considerate come le prime nove, mentre dalla 1 alla 9 come seconde. L’anno successivo il format venne cambiato, prendendo le sembianze di quello che conosciamo ancora adesso e l’Invitation ebbe ancor più risonanza, grazie alla vittoria di Gene Sarazen. Sarazen imbucò un albatross dal fairway del par 5 della 15, andò al playoff contro Craig  Wood e vinse poi il torneo.

Il torneo continuò a ripetersi ogni anno in primavera e dal 1939 prese il nome di Masters, anche se questo titolo aleggiava nell’aria già da anni prima. La bellezza di ciascuna buca, il periodo dell’anno favorevole – ad aprile nel calendario non era mai stato programmato un Major – e l’importanza dei due fondatori fecero sì, che il Masters diventasse un appuntamento fisso. Non fu però subito riconosciuto come uno dei Major, ci vollero ben undici anni – fino al 1950 – prima che entrasse a far parte del Grand Slam moderno.

Galeotti furono diversi fattori, in primis il supporto di Dwight D. Eisenhower, socio del club anche durante la sua presidenza. Inoltre il Masters cominciò ad avere successo negli anni dell’ascesa della televisione e da ultimo fu determinante la presenza ogni anno di campioni come Ben Hogan, Arnold Palmer e più tardi Jack Nicklaus e Gary Player.

Ora l’Augusta National è il migliore percorso del mondo e ogni anno, mantenendo una sorta di continuità e familiarità che gli altri Major non hanno, ospita il Masters, il torneo più amato del golf… Chissà se Jones e Roberts se lo sarebbero mai potuto aspettare, che da un piccolo frutteto potesse nascere il più grande regalo per il golf internazionale.

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