ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Esattamente 20 anni fa, l’allora 18enne Tiger Woods veniva nominato “Man Of The Year” dalla rivista Golf World. Pur giovanissimo, Tiger non era certo nuovo alle attenzioni dei media. Fin dalla tenera età di due anni, quando salì sul palco del “Mike Douglas Show” saltellando con la sua sacchetta da golf in spalla, la vita del campione americano è stata costantemente sotto la luce dei riflettori.

Ne è passata di acqua sotto i ponti negli ultimi 20 anni: la gloria degli anni d’oro, i problemi fisici e poi la caduta, iniziata con un incidente nel vialetto di casa in una notte di novembre e proseguita con i rumors sulla sua infedeltà matrimoniale, che hanno macchiato la sua immagine di golfista, di marito e di uomo.

Non sappiamo se quella che stiamo vivendo sia la fase della rinascita, di un nuovo inizio, oppure se ci apprestiamo ad assistere al canto del cigno di un campione inarrivabile, ma è interessante, alla luce di quanto accaduto negli ultimi vent’anni, andare a ripercorrere alcune dichiarazioni tratte da una sua intervista del 1994, quando apparì sulla copertina di Golf World come uomo dell’anno…

Sulla pressione di essere, a 18 anni, sempre al centro dell’attenzione e delle aspettative di una nazione intera:

“Non mi da problemi. Ho sempre avuto un vantaggio, pretendo talmente tanto da me stesso che per quanto gli altri si aspettino grandi cose da me, sarà sempre meno di quanto mi aspetti io. E in ogni caso, non mi interessa assolutamente quello che pensano di me”.

Sull’aspetto che più lo affascinasse del golf:

“La competizione. Sono una di quelle persone che non può vivere senza continue sfide, se non le trovassi nel golf dovrei necessariamente cercarle altrove”.

Su ciò che serve per essere così vincente (ai tempi, è stato il secondo più giovane esordiente sul PGA Tour e 3 volte campione U.S. Junior Championship):

“Io sono avvantaggiato, perché ho ricevuto un dono da Dio, sono nato per giocare a golf. Poi sono stato bravo e paziente nel coltivare questo dono e nel trarne il massimo vantaggio. Ho lavorato duramente sia fuori che dentro il campo”.

Sull’aspetto migliore del suo golf:

“Senza dubbio l’aspetto mentale. Riesco a concentrarmi al 100% ogni volta che scendo in campo, non mi lascio distrarre da nulla”.

Sulla scelta di iscriversi alla Stanford University, anziché passare subito professionista:

“La scuola è sempre stata la priorità per me e la mia famiglia, perché dovrei cambiare idea proprio ora? Il PGA Tour e i contratti di sponsorizzazione saranno ancora lì fra qualche anno, possono aspettare. Ho deciso di andare a Stanford per crescere come uomo, la vita non è solo colpire una pallina bianca in giro per un campo, c’è molto di più. Questo è ciò che mi hanno sempre insegnato i miei genitori”.

Sulla sua dichiarazione di voler vincere più major di Jack Nicklaus:

“Quella era una semplice battuta fatta da un ragazzino immaturo. Mi riferivo più che altro ai miei sogni e cose del genere. I miei obiettivi sono privati, personali”.

Sulla possibilità, un giorno, di abbandonare il golf:

“Oh no! Il golf farà per sempre parte della mia vita, anche se le cose non dovessero andare nel migliore dei modi. Non si deve mai, mai mollare”.

 

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