L’Open d’Italia del 1973

Dissolvenza e volo in avanti nel tempo. Seguiamo il caddie sveglio e giustizialista, ormai diventato campione, all’Open d’Italia del 1973: trentasei milioni di lire in palio, dieci di prima moneta, duecento golfisti in gara, il fior fiore del golf continentale, giocato metà all’Olgiata (par 72) e metà all’Acquasanta (par 70). Il primo giorno Luciano Grappasonni è in testa all’Acquasanta con uno splendido -3, tre birdie consecutivi alla 8, alla 9 (one putt da venti metri) e alla 10. Seguono Canonica, Angelini, Canizares, Alberto e Angelo Croce. Nella stessa giornata all’Olgiata trionfa il sudafricano Hayes con -3, seguito dal sudafricano Baker e, nella pattuglia dei +1, gli italiani Mannelli, Della Torre, il dilettante Dassù e, dietro, Delio Lovato (chi è oltre i 60 ricorda questi bei cognomi?), al quale per tre volte non bastano due putt per chiudere la buca. Il secondo giorno cambio di campo con gli elicotteri, in nove minuti dall’Appia Nuova alla Cassia e viceversa. Luciano è in forma e alla 9 mette in sacca un -2. Alla 16, par 3, la palla finisce fuori green a dieci metri dalla bandiera su un buco di animale roditore o escavatore; lui è certo di poterla droppare, ma si affida al giudice internazionale. Buco di topo o di talpa? «No», afferma l’italiano Rivetti, «non c’è il castelletto di terra che lasciano solitamente le talpe». Luciano, piccato, chiede di giocare due palle e di controllare lo scavo dopo. A 46 anni di distanza rievoca con amarezza: «Ricordo che il giudice arbitro non si degnò di piegarsi per essere certo del buco, né marcò la palla così che tutto si sarebbe chiarito a mio favore». Rivetti gli impone di tirare e poi, dice, avrebbe deciso. Grappasonni chiude in 5. Alla 18, il dramma: secondo tiro con palla insabbiata e non identificabile contro la parete del bunker. Luciano chiama a testimone il compagno marcatore e, in ossequio alla regola che permette di farlo, muove la sabbia che ricopre la palla per essere certo che sia la sua: colpo in green, one putt, splendido par. L’inflessibile Rivetti gli chiede perché abbia toccato la sabbia, i due player ribadiscono che il gesto era corretto, il signore in blazer suggerisce di segnare 4 sullo score e consegnare, poi mette il risultato sub-judice, si consulta per radiotelefono col collega inglese che si trova all’Acquasanta e infligge due colpi di penalità chiaramente immotivati. È una pugnalata alla schiena: si può compromettere un Open in questo modo? Passano il taglio in 85, Luciano è dentro ma non ha più la testa e addio all’alloro. Vincerà l’inglese Tony Jacklyn, suo compagno di gioco nella terza giornata, con 284.

Piccole bugie a fin di bene

Nel golf la menzogna non è sempre immorale, si legge in un decalogo dell’etica surrealistica delle 18 buche. Sentite questa. Racconta l’ex caddie Grappasonni: «La mattina presto accompagnavo un principe di primo rango della Roma papalina, semicieco, incerto nel colpo, commovente per la sua voglia di vivere e di calpestare il fairway intatto di rugiada. Alla 14, par 4 hcp 12, sbagliò il drive, tirava sempre un legno 3 dal tee e dal fairway. Mentre correvo a cercare la prima palla lui arrivò sulla seconda e senza aspettarmi sparò il quarto colpo verso il green. “Bel colpo! Impatto dolcissimo!”, esclamò felice guardando nel vuoto. Non si era accorto che, anziché la pallina, aveva colpito una vescia, il fungo bianco, rotondo e ingannevole. Rimasi a bocca aperta, trattenni il fiato e ribadii lentamente: “Sì, bel colpo, principe; bravo…”. Raccolsi anche la seconda e puntammo verso il green. Trenta metri prima del collar rallentai il passo, mi feci sorpassare e feci volare con le mani verso la bandiera una palla alta, sopra la sua testa. Chiuse in 6, non gli succedeva da anni e quel giorno rivide il cielo tutto azzurro. Valeva la pena dirgli la verità?».

Continua….

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