ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Dietro la mia vittoria al Volvo World Match Play c’è un maestro d’eccezione: Ballesteros ha ispirato ogni mio colpo

L’ambiente del golf è più triste dopo la morte di Seve. Al suo funerale, mi ha addolorato molto vedere la lunga marcia funebre, con i suoi figli che trasportavano mestamente l’urna e l’intero villaggio di Pedrena presente, a significare quanto contava per i suoi concittadini. Ma l’influenza di Seve è arrivata molto più lontano della Spagna. Il suo carattere unico, un misto di carisma e fascino, ha contagiato tantissime persone in tutto il mondo. Sono stato fortunato a poter giocare con lui in qualche occasione: c’era sempre qualcosa da imparare, anche solo guardandolo inventarsi dei colpi impossibili intorno al green. Ricordo quando ho giocato con lui nei primi due giri dell’Open 2006 al Royal Liverpool e, anche se quello fu il suo ultimo Open Championship, si vedeva che non aveva perso il suo magico gioco corto. L’ho ammirato così tante volte quando ero giovane, specialmente in Ryder Cup; e, crescendo, è sempre stato uno dei miei punti di riferimento. Ci sono stati parecchi anni in cui lui e José Maria Olazabal sembravano invincibili in Ryder. Il matchplay è sempre imprevedibile: ma potevi leggere negli occhi degli americani come si aspettassero già di perdere quando venivano estratti contro la coppia in cui c’era Seve. Ricordo benissimo i suoi match singoli nel 1995 all’Oak Hill contro Tom Lehman. Era lì che vedevi veramente quanto i suoi colpi di recupero fossero validi, perché riusciva a rimanere in gara anche quando non trovava il fairway dal tee. Recentemente, all’asta di Seve a Wentworth, ho comprato il suo putter: avrà un posto di prestigio in casa mia. E quando ho vinto il Volvo World Matchplay a maggio, la prima cosa che ho cercato sul trofeo è stata il suo nome. Era ripetuto cinque volte!

La vittoria al Volvo Matchplay è stata molto importante per me, perché i mesi precedenti, a essere onesti, sono stati alquanto deludenti. Sentivo di giocare bene ma non ottenevo risultati, anche se penso – guardandomi indietro – che forse sono stato troppo duro con me stesso. In effetti avevo solo bisogno di rilassarmi un po’ per far girare meglio le cose. Durante la settimana al Finca Cortesin ho battuto sia Luke Donald sia Lee Westwood; e l’ho fatto macinando risultati, più che giocando brillantemente. In effetti durante quella settimana sono incappato anche in qualche brutto colpo; però sono riuscito a tirarne alcuni davvero buoni al momento giusto. Per quella vittoria ho ricevuto messaggi molto belli; e forse il migliore è stato quello di Paul Azinger che ha twittato: “Vorrei aver potuto giocare con Ian Poulter in un matchplay o in Ryder, una volta nella vita. Per me lui è il migliore”. Alla fine di quella settimana non vedevo l’ora di giocare l’Open, anche se non sono un grande fan del Royal St George’s. So che i links non sono mai completamente “giusti” e trovo che i rimbalzi strani e gli stance un po’ goffi in cui puoi imbatterti su quel percorso lo rendano un tantino esagerato. Sono stato in Kent un paio di volte per provare il campo e cercare di conoscerlo meglio. Ma dopo un primo giro sotto il par, venerdì ho segnato un orribile 78 (il clima non ha aiutato!) che mi ha impedito di proseguire. Peccato, ci tenevo a fare bene “in casa”.

Ho saputo che la delegazione spagnola è rimasta fortemente dispiaciuta per non aver ottenuto l’assegnazione della Ryder Cup 2018 e presumo che per Germania, Olanda, Portogallo e Svezia sia lo stesso. Ma io sono molto felice che abbia vinto il National di Parigi. È un tracciato fantastico e, una volta che avranno rinnovato l’hotel, sarà meraviglioso. Il percorso è stato uno dei primi “stadi” mai costruiti e le ultime quattro buche forniscono il perfetto “finish” a qualsiasi incontro matchplay. La 15 è una specie di “piccolo par 4”, con un green a isola e pin position davvero temibili. La 16 è un pericoloso par 3, dove hai bisogno di un ferro medio o corto davvero preciso. E poi le ultime due buche sono veramente lunghe, sebbene siano par 4. La 18, soprattutto, fa trattenere il fiato fino all’ultimo, perché ti richiede un ferro lungo verso il green a isola davvero calibrato, altrimenti sei in acqua. Non vedo l’ora! Nel 2018 avrò 42 anni, ma spero tanto di ottenere la mia settima presenza in squadra.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here