ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

di Max Adler

La storia, non solo sportiva, dei due veri “fondatori” del Golf moderno arriva sugli schermi grazie alla passione per il gioco che il leggendario interprete di James Bond ha trasmesso al regista della pellicola

Una storia d’altri tempi, che risale a un secolo e mezzo fa.

Una storia che ha preso vita tra i selvaggi links della Scozia, quando il golf – in quegli anni del 1800 – era visto dalla buona società come un gioco d’azzardo.

I protagonisti sono un padre e un figlio, Tom e Tommy, meglio conosciuti come Old Tom Morris e Young Tom Morris. Padre e figlio leggendari, che hanno contribuito radicalmente alla nascita del golf moderno.

La loro storia, adesso, approda sul grande schermo del cinema con “Tommy’s Honour”, un film che, in qualche modo, reca anch’esso la firma di un padre e di un figlio.

Perché il regista è Jason Connery, figlio di Sean Connery, il primo e davvero mitico interprete della saga di James Bond. E se Jason è stato scelto per dirigere un film che è intriso di storia e cultura golfistica è perché suo padre Sean gli ha trasmesso passione e rispetto per il gioco.

Ma procediamo con ordine. Old Tom Morris, nato nel 1821 a St Andrews, è stato davvero il ragazzo giusto nel posto giusto e al momento giusto, con il perfetto mix di talento, passione e dedizione.

Si avvicinò al mondo del golf subito dopo la scuola, diventando assistente e apprendista di Allan Robertson, il primo professionista al mondo. Insieme realizzavano palline e bastoni, ma Morris divenne anche suo caddie durante i tornei.

Formavano un team conosciuto come “The Invincibles”.

Poi, però, la lungimiranza e l’acume di Old Tom lo spinsero lontano da St.Andrews.

Con l’arrivo delle nuove palline guttie, Robertson chiese a Morris di continuare comunque a produrre le palline in feathery, ma il futuro campione scozzese aveva già capito dove sarebbe andato il mercato.

Si spostò al neonato Prestwick Golf Club nel 1851, diventandone greenkeeper con il compito di seguire l’intera struttura.

Qui introdusse – quasi per caso – l’innovazione del top dressing del green.

Una sera la ruota della carriola con cui trasportava la sabbia dei bunker si ruppe rovesciando il suo carico sul green.

Old Tom cercò di spargerla il più possibile e nei giorni seguenti notò che l’erba era cresciuta più velocemente nelle aree coperte dalla sabbia.

Ma il grande Morris non era solo un genio come greenkeeper: lo era anche come golfista.

 

Quattro Open in cinque anni

Al primo Open Championship, che si svolse proprio a Prestwick, Tom si classificò secondo, dopo il vincitore Willie Park. Fu solo l’inizio dell’ascesa. Vinse per due anni consecutivi nel 1861 e nel 1862, poi ancora nel 1864 e infine nel 1867 a 46 anni, diventandone così il più anziano campione della storia. Aveva uno swing dolce ed estremamente efficace. Unica pecca? I putt corti. Sbagliava spesso da distanze sotto il metro, e questo gli costò molto caro. Suo figlio, invece, rasentava la perfezione golfistica. Un talento della natura, paragonabile al Tiger Woods dei tempi d’oro. Tommy, del resto, era cresciuto sui campi da golf, esattamente tra Prestwick e l’Old Course di St.Andrews, in cui il papà diventò greenkeeper nel 1865. Seguiva Old Tom tra i fairway, osservando chi vi giocava e imparando anche dai segreti del padre. Vinse la sua prima gara, un match di esibizione, ad appena 13 anni; e tre anni dopo, nel 1867, conquistò un torneo professionistico battendo campioni come Willie Park e Bob Andrew al playoff. «Cos’hai portato a fare quel ragazzino, Tom?», aveva chiesto Park a papà Morris prima dell’inizio. «Lo capirai presto», gli aveva risposto, con la stessa umiltà e calma che lo caratterizzavano sul green. E in effetti Park lo scoprì presto e, con lui, anche gli altri professionisti. Il piccolo Morris conquistò l’Open Championship per tre anni consecutivi, dal 1868 al 1870, diventando così detentore della Challenge Belt. Nel 1871 il Major non si disputò e nel 1872 vinse ancora, diventando il primo campione della storia a conquistare l’Open per quattro anni consecutivi e anche il primo a incidere il proprio nome sulla neonata Silver Claret Jug. Nel 1869 Tommy e Tom divennero la prima coppia figlio e padre a classificarsi rispettivamente primo e secondo all’Open Championship, cementando così un legame che sarebbe rimasto comunque eterno, anche se, in verità, macchiato da qualche contrasto.

 

Uno, conservatore. L’altro, rivoluzionario

Tom era un conservatore, un uomo legato alle proprie radici e ai propri princìpi. Non si era mai ribellato al sistema che governava il golf di quegli anni: un sistema in cui i ricchi scommettevano sui giocatori, tenendo la maggior parte dell’incasso in caso di vittoria. Tommy invece era un rivoluzionario, un ribelle che amava andare contro le vecchie regole e che metteva sotto accusa la R&A, così come l’aristocrazia. E pretendendo una paga più onesta. Queste differenze di opinioni tra padre e figlio provocarono i primi screzi; ma certamente il legame andò in crisi quando Tommy s’innamorò della sua futura moglie, Margaret Drinnen, di dieci anni più grande. La scelta fu fortemente osteggiata dalla famiglia Morris, non solo per la differenza di età ma anche per il segreto che Meg nascondeva: un figlio avuto fuori dal matrimonio, morto dopo appena otto settimane di vita. Purtroppo, pochi anni dopo, nel 1875, mentre Tommy stava giocando insieme al padre un match di esibizione a St.Andrews, “Meg” morì di parto nella loro casa di Playfair Place. La tragica notizia sconvolse Tommy: morì anch’egli tre mesi dopo, ad appena 25 anni. La sua leggenda rimarrà per sempre legata a quella del padre.

 

Quella partita con Mr. Goldfinger

Non meno legata al padre Sean è la storia del regista del film, Jason Connery. Scozzese Sean e inglese Jason, sono entrambi amanti del golf e della storia dei due Morris. Grazie all’aiuto e alle dritte di papà Sean, Jason, regista dal 2008, ha deciso di avventurarsi nella trasposizione cinematografica del romanzo “Tommy’s Honour” di Kevin Cook, vincitore dello USGA Warren Wind Book Award 2007. Una vera e propria sfida che Jason non sarebbe mai stato in grado di intraprendere senza il supporto di Sean. Fu proprio l’ex James Bond, diventato amante del golf dopo il film Agente 007- Missione Goldfinger, in cui giocava una storica e scorretta partita col suo avversario-nemico, ad avvicinare il figlio a questo sport. «Sono cresciuto sui percorsi con mio papà. Quando non ero a scuola, ero a giocare. Abbiamo una casa a un’ora da St.Andrews e ricordo che papà ha sempre giocato in Pro-Am con altre celebrità e professionisti. Ricordo di essere stato a Gleneagles diverse volte con lui e – pensate – c’era sempre il sole. Da non credere, vero?”, ha dichiarato Jason in un’intervista rilasciata al giornale scozzese “The Scotsman”. Jason ha iniziato a giocare quando aveva dieci anni sugli stessi percorsi scozzesi su cui, un secolo prima, Tom e Tommy Morris aprivano l’era del golf moderno. La loro storia gli era davvero familiare e non avrebbe mai potuto farsela sfuggire: doveva raccontarla e per farlo avrebbe ripercorso la propria esperienza su quei campi. I giorni in cui vedeva il padre giocare con star come Jack Nicklaus. O quando da piccolo si arrabbiava così tanto per un brutto colpo, da lanciare per terra il bastone e papà Sean lo castigava impedendogli di giocare per almeno un mese.

 

Non è un film sul golf

L’amore e il rispetto per il padre sono molto profondi e Jason gli ha mostrato la prima bozza del film, per ricavarne utili suggerimenti. Del resto non si tratta di un film semplice. Non ci sono solo i match, i trionfi e le sfide sul campo ma anche la vita di tutti i giorni, l’amore, la passione, i problemi di relazione tra padre e figlio. A rendere le cose ancor più complicate è certamente il riferimento al periodo storico: oltre un secolo e mezzo fa, nel 1860. Anche i bastoni erano completamente diversi e la stessa facciata di St.Andrews era diversa. Per ricreare la perfetta ambientazione, sono state costruite due buche sulla costa scozzese ed è stata ricostruita la clubhouse dell’Old Course, riproducendo la facciata originale in pietra marrone. Niente è stato lasciato al caso: sono state persino usate delle pecore per “tagliare” l’erba in modo naturale, proprio come si faceva un tempo. Ciò che però preoccupava di più Connery, era il rischio di realizzare un film solo golfistico: «Sarebbe stato un grande errore fare un film solo sul gioco, quando invece la parte più interessante sono le persone, che giocano a golf. Lo sport non deve essere il tema principe della storia e abbiamo lavorato sodo affinché non lo fosse». Operazione riuscita, in realtà.

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