ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Se permettete… non parliamo di Tiger Woods.

So dalla Redazione che ne parla già Chicco, che ci ha giocato insieme a San Diego, e Jaime Diaz, che ne è il più profondo conoscitore.

Quanto a me, voglio invece parlare di Bubba Watson, perché il suo ritorno alla vittoria nel Genesis Open a quaranta giorni dal Masters (che ha già vinto due volte), dopo il peggior anno della sua carriera, introduce un argomento inatteso nei temi della stagione appena cominciata.

Bubba è, nel panorama, un giocatore unico: atipico nello swing, immediatamente riconoscibile, straordinario (quando è in palla, ma quella giusta) nella capacità di inventarsi i colpi che servono in una determinata situazione: esattamente come al Riviera di Los Angeles, dove può vincere solo chi abbia in sacca ogni tipo di colpo e non basta spararla oltre i 300 metri dal tee.

E infatti lui ci ha vinto tre volte, come signori chiamati Ben Hogan e Arnold Palmer.

Bubba, come svelato dalle lacrime versate sul 72° green del Riviera, aveva seriamente pensato al ritiro dopo un 2017 in cui aveva mancato il taglio in tre Major (27° solo all’Open Championship), racimolando in tutto tre top 10 nell’arco dell’anno.

Troppo poco per uno che ha vinto due volte il Masters e che aveva toccato il secondo posto nella classifica mondiale.

Sarà un caso, ma la sua discesa libera nelle graduatorie aveva coinciso con l’adozione di una pallina non compresa nell’élite delle grandi marche, quelle ormai privilegiate da tutti i migliori giocatori.

Probabilmente attratto da un contratto molto ricco, ha cercato invano di adattarsi, senza successo.

Per un giocatore come lui, che “lavora” molto i colpi, evidentemente la pallina non rispondeva in maniera soddisfacente.

Risolto anticipatamente il contratto (con sanzioni), guarda caso si è ritrovato.

Il che rafforza il convincimento che proprio la pallina, fra i materiali, sia la scelta più attenta da fare per campioni di quel livello.

Sui bastoni infatti c’è poco da sbagliare: la sofisticata tecnologia ormai utilizzata da tutte le Case garantisce comunque altissime prestazioni.

La pallina è un discorso a parte. Ed è il più importante. Aveva pensato di smettere; poi, stimolato anche dalla moglie (ex giocatrice di basket e – parole dello stesso Bubba – “più tosta di me”), ha deciso che prima di mollare tutto era forse meglio provare a cambiar pallina.

Ed ecco i risultati.

Su di lui sento dire spesso che è una consolazione per i tanti dilettanti che hanno un brutto swing.

Ora, è vero che, specie sul drive, il suo movimento è tutto fuorché ortodosso e certo non bello a vedersi; però la realtà è che Bubba, saltando sui piedi riesce comunque a trovare un equilibrio ideale negli appoggi per il suo movimento.

Non ha coach, è un autodidatta e si vede.

Però ha una straordinaria creatività nei colpi che, in certi momenti (come nel famoso approccio impossibile nel playoff del Masters 2012 contro lo sfortunato Oosthuizen) solo un maestro come Mickelson riesce a trovare.

Era precipitato nelle classifiche ed era entrato al Genesis Open come 117° del mondo. Sembrava finito.

Ora, d’improvviso, si candida tra i favoriti del Masters, perché, come dimostrano le sue due vittorie, l’Augusta National è un campo che premia chi sa manovrare la palla.

Proprio come lui ha fatto nei momenti-chiave del suo ritorno al successo. E alla vita golfistica.

Attenti a Bubba, insomma. Mi sa che ne riparleremo.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here