ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Renato Paratore firma l’ennesimo miracolo italiano, al termine di una stagione poco esaltante per i nostri campioni. Una risposta al disfattismo sullo “stato dell’arte” del golf italiano

Siamo maestri in tante cose, noi italiani, e, giustamente, andiamo orgogliosi delle nostre eccellenze. Purtroppo siamo anche maestri di un’arte perfida, poco in uso da altre parti: il disfattismo. La conclusione in tono minore di una stagione non esaltante dei nostri giocatori sul Tour (con la sola vittoria di Marco Crespi in Spagna) è bastata a riaccendere il pessimismo: non una vittoria importante, nessun italiano in Ryder, slittamento dei nostri verso il basso nelle classifiche mondiali. Tutto da rifare, come avrebbe detto il grande Gino Bartali? No, paradossalmente; in realtà, è ancora tutto da fare perché, forse, non ci siamo resi conto nei recenti anni di gloria che le autentiche imprese compiute dai Molinari, da Manassero, e, adesso, anche dal ragazzo Paratore assomigliano molto a un miracolo.

Non perché i nostri non siano in gamba, ma semplicemente perché i loro exploit in rapporto all’esiguità del movimento golfistico italiano risultano, appunto, miracolosi. L’errore è considerare i miracoli un diritto acquisito. Sono stati un prodigio le tre Ryder di Costantino Rocca, pietra miliare del nostro golf, e le due consecutive di Francesco Molinari (una, storica, in tandem con Edoardo). Non si può storcere il naso se la serie-prodigio s’interrompe, peraltro con ottime probabilità di riprendere, visto che, pur in una stagione minore, Chicco è arrivato a sfiorare la convocazione e, quasi a ogni uscita, Edoardo ha dimostrato di aver assorbito i postumi non di uno ma di due interventi chirurgici al polso. Matteo Manassero è arrivato sul tetto d’Europa a Wentworth 2013, vincendo qualcosa come quattro tornei prima dei vent’anni. Poi s’è trovato a fronteggiare la prima crisi di una carriera tutta in ascesa, che non aveva fin lì conosciuto la minima pausa. È bastato questo a far deflagrare l’ipercritica, specie in quella piazza senza ritegno che è spesso il web dove, in ossequio al principio “uno vale uno”, il parere di un 36 di handicap (con tutto il rispetto) vale quanto l’opinione di un Leadbetter.

Non a caso la Cover Story di questo nostro numero di fine anno è dedicata proprio a Matteo e al suo delicato momento. Momento che, singolarmente, coincide con l’irresistibile ascesa di Renato Paratore (col quale Matteo intrattiene un rapporto fraterno), culminata nel terzo posto alla Qualifying School che l’ha trionfalmente introdotto alla carriera professionistica, dopo aver addirittura sfiorato la vittoria, sfumata solo per un leggero calo nelle ultime cinque delle 108 buche su cui si articola la durissima prova di accesso al Tour Europeo. Anche il suo exploit, che fa seguito alla vittoria nell’Orange Bowl 2013 e alle prime Olimpiadi giovanili di Pechino, ci deve convincere che, in questi ultimi tempi, siamo stati un po’ viziati. Questo non significa rinunciare ai sogni, ma rendersi conto di aver ricevuto più di quanto fosse logico attendersi: e gustarsi, quando ci sarà (perché ci sarà), il ritorno ai vertici dei nostri campioni, mentre con Paratore, Pavan e Tadini, la “Nazionale” sul Tour Europeo torna ad annoverare sette giocatori. Sapendo, però, che sempre di miracolo si tratta: altri Paesi europei, golfisticamente ben più strutturati di noi, si son dovuti accontentare di molto meno per tanto tempo, come la Francia (esplicite, al riguardo, le considerazioni di Grappasonni in questo numero).

E la Francia, a proposito, prossima sede europea di Ryder nel 2018, ci riporta alla Coppa e a quella che abbiamo battezzato la “pazza idea” del presidente Chimenti: ovvero la candidatura di Roma per il 2022. Anche qui si è esercitato abbondantemente il disfattismo. Intendiamoci: è un tentativo ai confini della realtà (una pazza idea, appunto) e ci torniamo nelle prossime pagine, anche attraverso le valutazioni critiche degli analisti inglesi. Ma la sfida è suggestiva e il tentativo è serio anche se l’esito, ovviamente, incerto. Ricordate il motto “Italians do it better”? Ecco, per ispirar fiducia negli altri, bisogna quantomeno avere un po’ di fiducia in se stessi. E dove sta scritto che “Italians do it better” solo in un certo stuzzicante campo? Ammesso che, in quel senso, sia mai stato vero.

Quindi, diamoci un po’ di fiducia, anche nel nostro piccolo ma promettente ambito, mentre tutto intorno s’addensa il pessimismo. E allora Buone Feste e Buon 2015, amici lettori. Alla ripresa, fra l’altro, troverete un magazine ancora rinnovato, pronto ad accompagnarvi in un’altra stagione di golf. L’inverno ha questo di bello: che finisce e annuncia la primavera, col ritorno a pieno regime del Golf. E, ovviamente, di Golf Today.

m.deluca@golftoday.it

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