ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Il Masters non mente mai e non ha mentito nemmeno stavolta. Solo un campione può vincere ad Augusta come ha fatto Spieth in aprile e campione si è confermato il 21enne Jordan in giugno artigliando con la forza dei nervi l’US Open che gli stava scivolando via in un finale convulso, denso di errori e imprese, di esaltazione e scoramento.

Doppio bogey alla 17 per rimettere tutto in discussione e consegnare virtualmente il trofeo nelle mani di Dustin Johnson: legno 3 in green alla 18 e birdie con due putt per caricare tutta la tensione sulle spalle dell’avversario, che lo seguiva a una buca di distanza. E la tensione, ancora una volta, ha deciso la partita: l’impeccabile Johnson che stava dominando la scena per tre quarti di giornata aveva già sbagliato tre putt di fila entro i 3 metri; alla 18, avendo bisogno di due putt per andare al play-off, ne ha messi insieme tre da non più di 4 metri. La maledizione da Major, per Dustin, continua: nel 2010 era stato un ferro incautamente appoggiato sulla sabbia di un bunker scambiato per una waste-area a sottrargli, penalizzandolo, la vittoria all’US Open di Whistling Straits; stavolta è stato un calo di concentrazione (o un attacco di nikefobia) nei putt corti sulle infernali pendenze di Chambers Bay a riproporre il sortilegio.

Come previsto, è stato il campo il vero protagonista della settimana più dura dell’anno per i migliori golfisti del mondo. I suoi dislivelli, i bunker in agguato ovunque, le tremende inclinazioni dei green hanno fatto strage di score, di buone intenzioni e, anche, di buoni colpi che, per pochi centimetri di differenza, se ne andavano ovunque, lontano, tranne che in bandiera. Le condizioni dei green, obbiettivamente, non erano all’altezza e se ne sono lamentati in parecchi: ha cominciato, appena dopo il primo giro, Sergio Garcia; poi l’hanno seguito in molti. Se però da questa specie di lotteria concepita da Trent Jones sul sito di una cava di ghiaia e sabbia sono emersi alla distanza almeno tre dei migliori del momento (Spieth, Johnson, Day nonostante le vertigini più il Mc Ilroy svegliatosi troppo tardi) vuol dire che, alla fine, il verdetto è onesto. E il verdetto dice che davvero Spieth è destinato a dar vita, con Rory (e non solo) a un affascinante duello per la successione al trono che fu di Tiger Woods, malinconicamente uscito di scena dopo una nuova, sconcertante prestazione. Spieth non ha espresso il suo miglior golf ma ha fatto tutto quello che serviva per sbrogliare una matassa che, continuamente, tornava a ingarbugliarsi (vedi, appunto, il doppio bogey alla 17). Vincere quando non si gioca al meglio è il tratto distintivo dei campioni: per Spieth, è la laurea definitiva. L’ultimo a conquistare i due primi Majors di stagione, e dunque a tenere in vita un tentativo di Grand Slam, era stato il Tiger Woods “doc” dell’anno 2002. Il paragone già dice molto e molto ci lascia intravedere di una carriera che promette di rivelarsi straordinaria. Se ha trionfato su un links spietato come Chambers Bay, il ragazzo del Texas promette di trovarsi ancora più a suo agio sul links più storico di tutti, St Andrews, dove andrà in scena in luglio l’Open Championship. Troverà meno insidie, nella casa del golf mondiale ma sapendo che la minor difficoltà del campo opererà una selezione molto meno feroce. E ci saranno più avversari in grado di sbarrargli la strada.

Fra loro, se tutti i numerini delle classifiche mondiali andranno al posto giusto, ci sarà ancora una volta Francesco Molinari (con Edoardo, qualificato di diritto in virtù del piazzamento di Hoylake 2014). A Chambers Bay è stato, come al solito, il più preciso. Ma per sfruttare la sua straordinaria regolarità nell’attacco ai fairways e ai green, a Chambers Bay serviva metterla molto vicino all’asta. Diversamente anche i due putt diventavano un lusso. Due bogey finali dopo 16 buche chiuse in par nel quarto giro lo hanno confinato al 27esimo posto di un torneo che ha mietuto vittime a man salva: da Tiger a Kaymer, da Mc Dowell a Bubba Watson e che ha ha spinto giù al 67° posto un artista del golf come Mickelson. Avevamo sperato in qualcosa di meglio, per Chicco: ma lamentarsi di un giocatore che continua a battersela sempre con i migliori del mondo sarebbe davvero irriconoscente.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here