ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Vi siete mai chiesti come sarebbe la vostra vita se d’improvviso doveste rinunciare alle vostre 18 buche settimanali? Si dice che questo gioco permetta di “staccare un attimo”. Ma, in realtà, insegna a vivere

A volte mi domando, aborrendo con angoscia la scongiurabile ipotesi, come sarebbe, per me, vivere senza il golf. Da quando sono nato, il Golf fa parte della mia vita: merito di mio padre che, scopertolo a trent’anni, se ne innamorò perdutamente, trasmettendomi il gene che colma l’esistenza di chi l’ha introiettato nel corredo cromosomico. Dovrei conoscere la risposta, cioè sapere benissimo come sto senza palle e bastoni, proprio come ogni inverno, fagocitato dallo sci e da tutto ciò che implica (dal lavoro di telecronista agli intermezzi di massimo divertimento, almeno per i miei gusti, quando metto gli sci in quelle giornate di sole e cielo blu, volando su distese immacolate). Immerso in quel mondo, in effetti non sento troppa nostalgia dei green, perché so che arriverà di nuovo la primavera, tempo di Golf, fabbrica di grattacapi e arrovellamenti alla ricerca dello swing risolutore, lo swing per antonomasia, in realtà sempre lo stesso, diverso solo nelle nostre, illusorie fantasie!

No, di vivere senza Golf non se ne parla, anche perché conosco bene la sgradevole sensazione che mi pervade quando, per esempio, non posso giocare per il mal di schiena, afflizione endemica e ricorrente da postumi sciistici. Paura di non riuscire più a fare il movimento come prima, di sentire quel dolore “a lama” alla fine del backswing o quella insopportabile fitta all’impatto che mi fa colpire male la palla, perdendo distanza: la sindrome del golfista, un incubo che affligge con indicibili pene oniriche! Ho avuto molti infortuni, quasi sempre sciando e, ogni volta, ho temuto che spalle e ginocchia mi avrebbero impedito di giocare a golf, ancor più che sciare. Chissà perché… A fine settembre, appiccicato alla Ryder, teatro di emozioni e viscerale passione per il Golf, ho sentito una volta di più l’inscindibile legame con questo hobby meraviglioso. Mi chiedo perché non possiamo farne a meno e in che misura accetteremo di rimanerne legati, acciaccati dalla vita o dalla vecchiaia. E allora penso a quel mio amico che, bravissimo in passato, dopo un ictus è tornato a giocare con un hcp quadruplicato, continuando ad amare il Golf, senza rancori, aggrappandosi a una dimensione completamente diversa, eppur fantastica. La verità è che, quando siamo in campo, accantoniamo i problemi – ovvio, solo i crucci del quotidiano vivere, ci mancherebbe – traendo beneficio spirituale da una sorta di magica distrazione, vivendo come in uno stato di trance trainati da una palla, ovunque vada a cacciarsi.

Non si spiegherebbe altrimenti il fatto di non rendersi minimamente conto di camminare per circa sette chilometri, percorsi normalmente in una partita di 18 buche contando divagazioni e spostamenti: fateli in un bel parco, senza palla… e mi direte se il tempo vi è volato! Il Golf spalanca le porte a tutti, anche a chi non l’ha praticato in gioventù, offrendo la possibilità a chi arriva da altre discipline atletiche di misurarsi con sé e con gli altri. Quando, sul campo da tennis, sulle piste di sci e o sul campo di calcio non si reggono più fatica e stress di livelli agonistici elevati, arriva in soccorso il Golf, ispiratore di contese interiori. Ecco perché tanti campioni dello sport, abituati a corroboranti sferzate adrenaliniche, amano alla follia questo Gioco che, non dimentichiamolo, è anche un modo di essere, di pensare e di organizzarsi la vita.

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