ST LOUIS, MO - AUGUST 09: Francesco Molinari of Italy waits to play his tee shot on the 17th hole during the first round of the 100th PGA Championship at the Bellerive Country Club on August 9, 2018 in St Louis, Missouri. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Nessuno (tranne noi) si è accorto che la simpatica Tseng ha rivoluzionato il golf in rosa. Zitta zitta, a soli 23 anni ha fatto cose che i grandi campioni si sognano. Perché allora questo silenzio?

In Italia, la cosa sta passando sotto silenzio. Nessuno ne parla, a parte l’ottimo Nicola Montanaro (l’addetto stampa di Federgolf, cioè la voce ufficiale della Federazione), che puntualmente dà notizia dei suoi trionfi nei comunicati federali; e noi di Golf Today (che già a pag. 12 del numero scorso avevamo anticipato qualcosa). Ma a parte queste eccezioni, in Italia nessuno si fila Yani Tseng. Eppure sta dominando il golf mondiale. Non altissima, faccetta tonda ridente, americana d’adozione, la giocatrice di Taiwan ha cambiato rapidamente il golf femminile. Dall’incertezza della possibile noia dovuta al prepensionamento di dominatrici del calibro di Annika Sorenstam e Lorena Ochoa, si è passati a qualcosa di speciale e storico in men che non si dica. Quando Yani Tseng, a 22 anni, 6 mesi e 8 giorni ha vinto il Women’s British Open a Carnoustie, in Scozia, e ha sollevato il trofeo col suo sorriso da ragazzina, stava mettendo in pratica qualcosa di gigantesco per il futuro del golf femminile: nessun professionista – uomo o donna che sia – ha avuto un impatto maggiore e più improvviso. Mai! Difendendo il titolo britannico femminile vinto l’anno scorso, la Tseng ha raccolto il suo quinto Major in carriera e il quarto in due stagioni. Nessuno nel golf professionistico ha vinto così tanto e così in fretta. Nemmeno Tiger Woods o Jack Nicklaus.

A un mese dal suo 23esimo compleanno, nella sua quarta stagione sul Tour, è a un terzo della strada per eguagliare il record di 15 titoli del Grande Slam detenuto dalla grande Patty Berg. Dietro alla capofila, vantano titoli Mickey Wright (13), Louise Suggs (11), Babe Zaharias Didrikson e Annika Sorenstam (10), vale a dire i più grandi nomi della storia rosa di questo sport. La Sorenstam aveva 32 anni quando nel 2003 vinse il suo quinto titolo Major, l’LPGA Championship. Tiger Woods 24 quando ha vinto il suo quinto, il PGA Championship del 2000. “Sono davvero felice, ma voglio vincere di più”, ha affermato senza mezzi termini la simpatica Yani nella conferenza stampa post torneo a Carnoustie. Non c’è niente da suggerire per il futuro a Tseng, che ha la stessa capacità di incutere il sacro timore nelle sue rivali che aveva Woods quando regnava incontrastato sul PGA Tour.

È impossibile sottovalutare la sua presenza in campo, non bisogna minimizzare la sua bravura. Se lei gioca, è favorita per vincere. Se è in classifica, è da temere. Incarna proprio la figura di cui il golf femminile aveva bisogno. Per la cronaca, Yani ha 17 vittorie da pro, tra cui nove titoli nell’LPGA Tour. Dopo aver vinto tre volte l’anno scorso, quest’anno vanta 11 tornei conquistati (fra cui due Major) in sette diversi Paesi. Ha vinto il campionato LPGA con 10 colpi di vantaggio. Vent’anni separano il primo titolo Major di Berg e l’ultimo. Al ritmo attuale, Tseng potrebbe raggiungerne trenta. Perfezionista fino all’esasperazione, si racconta che perseguiti Gary Gilchrist, l’insegnante sudafricano che la segue da 18 mesi, chiedendogli in continuazione: “Come posso migliorare ciò che ho fatto oggi? C’è qualcosa che avrei potuto fare meglio?”.

Capito il tipo?…

Faccio tanti auguri di cuore a tutti i nostri lettori e in modo particolare a tutti quei golfisti che mi rallegrano con la loro simpatia. Non credo esistano categorie di appassionati come gli amanti del nostro sport, persone in grado di sfornare decine e decine di battute a raffica per sdrammatizzare che mi fanno immensamente divertire. Detto fra noi: adoro chi mi fa ridere! Voglio regalarvene due di altrettanti carissimi amici, che valgono l’annata. La prima è di una persona che non aveva mai partecipato agli incontri pre-comunione del figlio per non perdere nemmeno una gara. Al momento della cerimonia, incontra necessariamente il sacerdote che, viste le ripetute assenze, lo ammonisce dicendogli: “Non l’ho mai vista in chiesa!”. Il mio amico, con freddezza (e una buona dose di realismo), non ci pensa un attimo e risponde: “Beh, nemmeno io lei sul campo da golf!”. L’altra è di una carissima amica che, avendo giocato per molti anni a ottimi livelli, ha praticamente abbandonato per colpa del lavoro e delle delusioni per un infimo gioco corto. Ogni tanto, per lavoro, le “tocca” giocare e, se la incontraste, la riconoscereste subito perché ha due refrain che ripete razzolando sui fairway: “Ma stavo così bene in ufficio…”. Il secondo è ancora migliore: “Ogni volta che gioco, mi ricordo perché ho smesso!”. Grazie a loro e a tutti i giocatori che rallegrano le mie trasferte, che mi ricordano che il golf è un gioco, una passione, una sana malattia ma non certamente una questione di vita o di morte come, purtroppo, sempre più persone sono portate a pensare, prendendosi troppo sul serio.

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